Lo confesso: io vorrei avere la penna di Murakami. Qualcuno degli addetti ai lavori potrebbe obiettare: “E chi non la vorrebbe?”. In ogni campo ci sono dei mostri sacri da seguire dai quali noi poveri comuni mortali non possiamo far altro che trarre ispirazione, per quanto l’ispirazione non raggiungerà mai l’originale. Io ho sancito il mio modello ufficiale da seguire proprio in Haruki Murakami, in particolare leggendo “Norwegian Wood”, mentre fagocitante scorrevo quelle pagine e mi continuavo a ripetere se la genialità fosse realmente un dono o se si imparasse da qualche parte. AAA cercarsi disperatamente manuali di genialità per raggiungere la perfezione stilistica.

Murakami: L’Oriente che guarda all’Occidente
Nato a Kyoto nel 1949, è tra gli scrittori contemporanei più influenti, anche se, per qualche strana ragione, ancora non è riuscito ad essere insignito del Nobel per la Letteratura. Se vi state chiedendo se in “Norwegian Wood” si possano ritrovare stereotipi legati alla terra del Sol Levante, sarò costretta a deludervi. No, niente stereotipi, niente descrizioni dettagliate sulla sakura, niente personaggi in kimono, niente tradizioni culinarie di ramen. Sia perché “quel genio di Murakami” è lontano da ogni forma di stereotipo ( e certo, altrimenti non sarebbe un genio), sia perché ha sempre strizzato l’occhio all’Occidente.
Murakami e il richiamo alla cultura Pop
Come lui stesso ha confessato:
“«Amo la cultura pop: i Rolling Stones, i Doors, David Lynch, questo genere di cose. Non mi piace ciò che è elitario. Amo i film del terrore, Stephen King, Raymond Chandler, e i polizieschi. Ma non è questo ciò che voglio scrivere. Quello che voglio fare è usarne le strutture, non il contenuto. Mi piace mettere i miei contenuti in queste strutture.
Questa è la mia via, il mio stile. Perciò non piaccio né agli scrittori di consumo né ai letterati seri. lo sono a metà strada, e cerco di fare qualcosa di nuovo. […] Scrivo storie strane, bizzarre. Non so perché mi piaccia tanto tutto ciò che è strano. In realtà, sono un uomo molto razionale. Non credo alla New Age, né alla reincarnazione, ai sogni, ai tarocchi, all’oroscopo. […] Ma quando scrivo, scrivo cose bizzarre. Non so perché. Piú sono serio, piú divento balzano e contorto».
Lo svisceramento dei personaggi in Murakami
Da buon cultore del Pop, il brano dei Beatles fa da titolo a quello che a parer mio, è un capolavoro letterario. “Norwegian Wood” risuona nelle orecchie del protagonista nell’incipit del romanzo più intimista e introspettivo dello scrittore. Quello che lui definisce “strano” e “bizzarro”, io non posso che tradurlo come “geniale”. Sì, perché la sua penna non si limita alla descrizione dei personaggi, lui i personaggi li scava dentro, li esplora dall’interno, e te li consegna con tutta quella carica di emotività di cui solo i grandi hanno la chiave. Ed ecco che avviene quel fenomeno di empatizzazione grazie al quale quei personaggi diventano un po’ anche i tuoi. Kizuki, Naoko, Reiko, Watanabe, impari a conoscerli per davvero.

L’animo dell’essere umano è sempre lo stesso
Anni ’80, Tokyo e storie adolescenziali che si intrecciano a quelle del protagonista, sono gli ingredienti di “Norwegian Wood”. Abbiamo uno spazio temporale e un setting ben definito, ma in realtà potremmo essere ovunque e in qualsiasi epoca. Perché Haruki ci parla di problemi esistenziali che esistono da quando è nato l’uomo, e che ci ricordano che l’animo dell’essere umano è sempre lo stesso. Solitudine, accettazione del sé, legami relazionali, amore, sesso, amicizia, i temi universali affrontati. Il tutto condito da una profondità disarmante che alla fine dell’ultimo capitolo, quando quei momenti di fusione stanno per dissolversi, ti fa sospirare: “Io vorrei avere la penna di Murakami”.