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La smorfia di una bambina ritratta in bianco e nero cattura la mia attenzione. È la copertina dell’ultimo lavoro di Veronica Raimo, nonché il primo per casa Einaudi. Inizio a sfogliarlo. La lettura mi accompagna più o meno fino alle 2.00. Quando arrivo all’ultima pagina, chiudo il libro e lo poso sul comodino, nel silenzio della notte mi domando cosa potrei dire sul libro della Raimo. Ma c’è una sola parola che mi risuona nella testa: “dissacratorio”. Spengo la luce e come un eco: “dissacratorio”, “dissacratorio”, “dissacratorio”, mentre mi addormento.
Veronica Raimo: quando gli scrittori si mettono a nudo
“Quando in una famiglia nasce uno scrittore, quella famiglia è finita, si dice. In realtà la famiglia se la caverà alla grande, come è sempre stato dall’alba dei tempi, mentre sarà lo scrittore a fare una brutta fine nel tentativo disperato di uccidere madri, padri e fratelli, per poi ritrovarseli inesorabilmente vivi.”
Con un sarcasmo pungente, la Raimo racconta verità scomode e tutto quello che “non si dovrebbe dire”, privando di sacralità il concetto archetipo di famiglia. Non a caso il primo giudizio che mi è venuto da dare è … (vedi sopra).
Veronica si fa voce narrante della sua stessa storia. E’ ironica, a tratti cinica, (ma è un cinismo protettivo), sicuramente poco arrabbiata. E’ riuscita a dare un senso a tutto, o almeno a tutto quello al quale un senso si può cercare di trovare.

Veronica Raimo e lo stile algida
Proprio nelle ultimissime battute, la scrittrice stessa parla di uno “stile algida”, giudizio che le viene mosso da una persona non ben identificata. Questo stile algida è un concetto assai ambiguo, perché sì, la sua è una scrittura pungente, che arriva dritta al dunque, ma molto profonda per coloro che ne sanno leggere il significato. Veronica cela le sue fragilità, dietro la scrittura “algida”.
Il concetto di perfezione completamente ribaltato
In questa biografia emergono due punti salienti: il primo è che la perfezione non esiste, e il secondo è che probabilmente dovremmo imparare a fare i conti con il concetto che la perfezione non esiste. Ce lo insegna questa scrittrice. Raccontandoci di padri, madri, fratelli, fidanzati, lontani dal concetto di perfezione, come infondo, lo siamo tutti noi. Depone le armi della rabbia, e si fa carico di questa consapevolezza.
In una società che ci spinge sempre di più ad apparire al meglio, a prestare estrema attenzione a non scoprire il fianco, dove il concetto di “resilienza” è diventato un vademecum da tenere bene a mente, la sincerità dell’autrice ci appare quasi spiazzante. Ci consegna in mano la sua vita, la sua sfera familiare, intrisa di debolezze, ma proprio per questo, quanto mai vera.

Ridere delle proprie ferite: una strada vincente per affrontare la vita
Le ferite sono ferite, si rimarginano, ma ne rimangono le cicatrici. Si attenuano con il tempo, però, non scompaiono. Ci sono cose che non possiamo controllare, che vorremmo cambiare ma non possiamo, e allora che si fa? Ci si rassegna? No, se ne prende atto. E’ esattamente l’operazione che troviamo tra le pagine di questo libro con l’aggiunta di quella sana ironia che prende il posto di uno sterile sconforto.
Un atteggiamento intelligente, per la prosa, per la vita, che auguriamo porti a Veronica un riconoscimento da Premio Strega. Nel frattempo noi la ringraziamo per essere stata tanto sincera, quanto irridente. Due qualità, non proprio così scontate.
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