Una famiglia di letterati
Esther Hillesum è nata il 15 gennaio del 1914. Suo padre Levie insegnava lingue classiche a Middelburg ed era sposato con Riva Bernstein, con la quale ebbe tre figli Etty, Jaap e Mischa. Levie era il preside del Ginnasio di Deventer e rivestì questo ruolo fino al 1940 anno in cui fu sollevato dall’incarico dal governo occupante.
Viene ricordato come un erudito stoico ma pieno di umorismo e pur nutrendo interesse per la cultura ebraica era perfettamente integrato e lavorava anche di sabato. La moglie Riva era insegnante di lingua russa e viene descritta come una donna impegnata, caotica, estroversa e dal carattere dominante. Con la figlia Etty ebbe un rapporto spesso conflittuale anche se la loro relazione migliorò durante la permanenza nel campo di Westerbork.

Il periodo universitario
Etty trascorse l’adolescenza a Middelburg, a Hilversum, a Tiel, a Winschoten seguendo gli spostamenti del padre, fino a stabilirsi a Deventer dove frequentò il Ginnasio. Non ottenne risultati eccezionali ma conclusi gli studi superiori si trasferì ad Amsterdam per frequentare la facoltà di Giurisprudenza, andando a vivere con il fratello Jaap che studiava medicina.
Nel marzo del 1937 si trasferì nella casa del vedovo Wegerif dove era stata impiegata nella gestione domestica, ma i due si innamorarono presto ed intrapresero una relazione che durò fino alla partenza di Etty per Westerbork nel giugno del 1943. Etty è una donna particolare in tutto, anche nelle relazioni, e ha convinzioni radicate sul matrimonio, sulla fedeltà e sull’amore.
Superate un centinaio di pagine, dopo essere stati rapiti dalle descrizioni e dalle riflessioni dell’autrice, la realtà irrompe in maniera prepotente. Una manciata di ebrei viene convocata dalla Gestapo e la nostra protagonista suscita l’irritazione di uno dei miliari perché non riesce a togliersi dal viso uno strano sorriso:
La scrittura come come terapia
I diari per i quali Etty Hillesum è diventata famosa furono scritti nella sua camera sulla Gabriel Metsustraat dove viveva con Han Wegerif, il figlio di lui Hans, la domestica Kathe Fransen e uno studente di chimica, Bernard Meylink. Grazie a quest’ultimo Etty si recò in qualità oggetto d’analisi dallo psicochirologo Julius Spier e fu questo incontro a determinare la crescita interiore di Etty. Decise di entrare in terapia con lui e il giorno dopo il primo incontro, seguendo il suggerimento dello psicologo iniziò il suo diario.
Etty desiderava diventare scrittrice e la stesura di un diario come terapia si adattava perfettamente al suo sogno letterario, dal momento che avrebbe potuto usare i suoi pensieri scritti come materiale per un futuro romanzo. Spier, amico di Jung, guidò la ragazza attraverso un percorso di crescita interiore, la sua affettività, prima disordinata, comincia ad essere incanalata dentro un’etica che non è semplicemente morale, ma è più profondamente reale compimento della persona. Il 15 settembre del 1942 Spier venne a mancare, ma Etty aveva già sviluppato una personalità forte che le permise di accettare il lutto con serenità.

La libertà di un “cuore pensante“
Etty comincia a scrivere il suo diario nel 1941 all’età di ventisette anni fino al 1943, nei primi anni esprime tutto l’amore e l’ammirazione nei confronti di Spier che appare nelle sue pagine come S.
Durante il trascorrere del tempo emergono i cambiamenti e le limitazioni che è costretta a subire dal regime in quanto ebrea, ma ciò che stupisce è il coraggio e la forza con i quali Etty affronta la tragica situazione. Non compaiono mai sentimenti di disperazione o odio, manifesta al contrario una grandissima fiducia nell’umanità e l’intenzione di non fuggire ma di voler partecipare appieno alle sofferenze del suo popolo:
In fondo, io non ho paura. Non per una forma di temerarietà, ma perché sono cosciente del fatto che ho sempre a che fare con gli esseri umani, e che cercherò di capire ogni espressione, di chiunque sia e fin dove mi sarà possibile.
E il fatto storico di quella mattina non era che un infelice ragazzo della Gestapo si mettesse a urlare contro di me, ma che francamente io non ne provassi sdegno – anzi, che mi facesse pena, tanto che avrei voluto chiedergli: hai avuto una giovinezza così triste, o sei stato tradito dalla tua ragazza?
Aveva un’aria così tormentata e assillata, del resto anche molto sgradevole e molle. Avrei voluto cominciare subito a curarlo, ben sapendo che questi ragazzi sono da compiangere fintanto che non sono in grado di fare del male, ma che diventano pericolosissimi se sono lasciati liberi di avventarsi sul umanità.
È solo il sistema che usa questo tipo di persone ad essere criminale. E quando si parla di sterminare, allora che sia il male nell’uomo, non l’uomo stesso.

La vera forza che viene dallo spirito
Nel corso del suo diario emergono sempre più evidenti le dinamiche della guerra e dell’Olocausto. Da un giorno all’altro agli ebrei viene impedito di prendere i mezzi pubblici, andare in bicicletta ed entrare in alcuni negozi. Etty sente il fisico cedere per le vesciche ai piedi e una stanchezza cronica l’accompagna, contemporaneamente però cresce in lei una forza d’animo che l’avvicina sempre più a Dio.
Si rifugia nella preghiera e nella meditazione e così riesce a vivere con serenità il proprio destino. Sono struggenti le pagine in cui la giovane si domanda come cambierà la sua vita nei campi di lavoro, se potrà portare con se i suoi libri e gli effetti personali. Riesce a continuare a scrivere a Westerbork, sa che la sua fine è vicina ma le sue ultime pagine continuano ad essere testimonianza dell’incredibile forza del suo spirito:
Di notte, mentre coricata nella mia cuccetta, circondata da donne ragazze che russavano piano, o sognavano ad alta voce, o piangevano silenziosamente, o si giravano e si rigiravano – donne e ragazze che dicevano così spesso durante il giorno: «non vogliamo pensare»,
«non vogliamo sentire, altrimenti diventiamo pazze» -, a volte prova un’infinita tenerezza, me ne stavo sveglia e lasciavo che mi passassero davanti gli avvenimenti, le fin troppe impressioni di un giorno fin troppo lungo, e pensavo: «Su, lasciatemi essere il cuore pensante di questa baracca». Ora voglio esserlo un’altra volta. Vorrei essere il cuore pensante di un intero campo di concentramento.