L’alfabeto del pop inglese
Parliamo oggi degli ABC, un quartetto la cui formazione classica è composta da Martin Fry (voce), Mark White (chitarre e tastiere), Stephen Singleton (sassofono contralto) e David Palmer (percussioni), fondamentale per definire un particolare ibrido tra synth-pop, pop rock e musica ballabile in generale.
La scena musicale inglese a inizio anni ’80 è quanto mai effervescente e a lungo ne abbiamo già discusso su queste pagine virtuali: il post-punk gotico dei Joy Division e la sua trasformazione nel synth-pop dei New Order, la new romantic di gruppi come Japan e Duran Duran, l’accenno di sophisti-pop dei tardi Roxy Music, tutti con un effetto a dir poco incisivo. All’appello mancano senz’altro tanti nomi e un elenco che voglia minimamente aspirare alla completezza sarebbe troppo lungo (e tremendamente noioso!). Vale la pena però soffermarsi su qualche nome, da alcuni ritenuto forse minore o effimero, ma che in realtà è stato determinante per plasmare almeno parte di una di queste scene.

Un esordio davvero notevole
Malgrado gli ABC non rappresentino una ‘one-hit wonder’, ossia non siano famosi solo per un brano, gran parte della loro celebrità deriva comunque dal loro album d’esordio, ‘The Lexicon of Love’ (1982), senz’altro il loro miglior lavoro. L’album si presenta quasi come un concept album (anche se Fry si è dissociato da questa definizione) ovviamente incentrato sull’amore e su questioni di cuore in generale. Prodotto da Trevor Horn (membro dei Buggles e degli Art of Noise), l’album si barcamena tra epoche molto diverse: da un lato la disco-funk contemporanea e l’uso del sassofono e dei sintetizzatori, dall’altro le orchestrazioni e la voce pulita di Fry che rimandano all’easy listening di decadi ormai passate.
Brani come ‘Poison Arrow’ e ‘The Look of Love’ sono ormai degli standard del pop e fanno parte di quel lungo elenco di brani che tutti abbiamo sentito almeno una volta in vita nostra ma di cui non conosciamo il titolo. ‘Tears Are Not Enough’, usato come singolo promozionale dell’album, mostra tutto il lato più funky del gruppo mentre ‘Show Me’ è un opener potente e di effetto.

Le cose si mettono male!
Il gruppo non sarà però più capace di mantenere il successo dell’esordio. Dopo la pubblicazione di ‘Beauty Stab’ solo un anno dopo, Singleton abbandona la formazione (seguendo Palmer): l’album non riscuote il successo sperato e viene stroncato dalla critica. In una recensione retrospettiva, il critico Simon Reynolds si spingerà addirittura a dire che l’album rappresenta ‘uno dei più grandi auto-sabotaggi della storia del pop‘. Effettivamente manca la freschezza dell’esordio e la sua faciloneria ballabile, mentre ‘Beauty Stab‘ si basa troppo sulle chitarre ed è parecchio enfatico, sembra insomma di sentire un disco pop rock uscito da metà anni ’70.

Un tentativo di recupero
Ormai ridotti a un duo, gli ABC ci riprovano nel 1985 con ‘How to Be a … Zillionaire!’, che non fa altro che aggiornare la formula vincente del disco d’esordio ma accentuando (forse all’eccesso) le atmosfere da discoteca. Il gruppo si trasforma in una sorta di surrogato dei Duran Duran del periodo di ‘Notorious’ e abusa della componente elettronica, nelle sapienti mani di White, che era comunque tenuta a freno nell’esordio: ascoltare ‘Vanity Kills’, ‘Be Near Me’ e ‘(How to Be a) Millionaire’ per credere.
‘Alphabet City’, uscito nel 1987, è un album sophisti-pop che intercetta, ormai quasi fuori tempo massimo, le mode ‘raffinate’ degli anni precedenti (il pop-jazz di Sade e Bryan Ferry principalmente) ed è una sorta di tributo al mondo del soul, da cui Fry è affascinato: dell’album restano a malapena ‘When Smokey Sings’ e ‘The Night You Murdered Love’.

Insomma, ma in sintesi…?
Malgrado la carriera stroncata quasi sul nascere, agli ABC spetta un posto di rilievo nella storia del pop inglese e il loro esordio resta il perfetto esempio di come il pop abbia saputo aggiornarsi dopo la tempesta punk e post-punk, inglobando la musica disco e i primi accenni di elettronica. Non si può non riconoscere anche il valore della produzione di Horn, un punto di riferimento inossidabile per ogni produzione pop anni ’80.
