Tra i Beatles e gli Oasis
Gli Smiths, vera e propria band di culto inglese, sono una band fondamentale per capire l’evoluzione del pop inglese e vengono spesso inclusi in diverse classifiche tra i migliori gruppi pop delle ultime decadi. Tanto per capire la loro influenza su ciò che è venuto dopo di loro, Noel Gallagher (chitarrista e fondatore degli Oasis) era un fan dello stile chitarristico di Johnny Marr, chitarrista negli Smiths, e gli Oasis non sarebbero stati gli stessi (nel bene e nel male, alla fine erano un gruppo banale) senza questa influenza. Con una discografia di soli quattro album in studio (più singoli vari), gli Smiths hanno lasciato un’impronta indelebile nella scena musicale inglese.

Da Lennon-McCartney a Morrissey-Marr
Il nucleo creativo del gruppo risiede nel duo Morrissey-Marr: Marr con il suo stile particolare è capace di creare melodie dal sapore jingle-jangle, piene di spessore ed intriganti, semplicemente incrociando qualche accordo con qualche breve linea melodica.
Morrissey, animo tormentato, narcisista e amante di Oscar Wylde, infarcisce i testi di riferimenti elevati e parla di tematiche che hanno spesso a che fare con il mondo giovanile (i primi amori, tristezza e malinconia, senso di inadeguatezza e di auto-distruzione, vita da miserabile) fino ad arrivare a tematiche più sentite dalla collettività come l’aborto (anche se non sempre con prese di posizione brillanti). Al gruppo appartengono anche Andy Rourke e Mike Joyce, rispettivamente bassista e batterista.

I primi lavori del gruppo
Vale la pena spendere due parole sui primi due album degli Smiths, l’esordio omonimo e ‘Meat Is Murder’. L’esordio, pubblicato nel 1984, esce in un periodo in cui la tendenza principale del pop inglese è ancora rappresentata dal synth-pop, mentre gli Smiths giocano tutto il loro sound su strumenti canonici, che siano elettrici o acustici, quasi a recuperare un’atmosfera più da anni ’60 (epoca da cui Morrissey è affascinato).
I testi trattano prevalentemente della desolazione della vita di provincia, grigia e sempre uguale a se stessa, per un giovane (alienato) dell’epoca. ‘Meat Is Murder’, pubblicato un anno dopo, mette da parte le sonorità più acustiche e mostra degli Smiths un po’ più rockeggianti, basti sentire brani come ‘The Headmaster Ritual’ o il trascinante groove di ‘Barbarism Begins at Home’. La voce caratteristica di Morrissey, la sua tristezza bohémienne e il suo sarcasmo, aggiungono ulteriore valore a questi brani.

La regina è davvero morta?
Nel 1986, gli Smiths pubblicano quello che ritengo il loro capolavoro estetico (in ogni senso), ‘The Queen Is Dead‘, album che già nel titolo vuole essere un attacco al costume inglese e alle sue tradizioni, che Morrissey disprezza particolarmente. Durante la lavorazione, l’album aveva il titolo provvisorio di ‘Margaret on the guillotine‘ (‘Margaret alla ghigliottina’, un riferimento a Margaret Thatcher, all’epoca premier inglese).
La copertina invece raffigura il celeberrimo attore Alain Delon in una scena del film ‘L’insoumis’ del 1964. L’album in sé non invita certo alla rivoluzione armata, ma senz’altro alla disperazione, tra amori falliti e irrecuperabili (‘I Know It’s Over’), allegre gite di coppia al cimitero (‘Cemetry Gates’) e solitudine patologica con tanto di stalking (‘Never Had No One Ever‘).
And if a double-decker bus
Crashes into us
To die by your side
Is such a heavenly way to die
And if a ten ton truck
Kills the both of us
To die by your side
Well, the pleasure, the privilege is mineE se un autobus a due piani
‘There Is a Light That Never Goes Out’, The Smiths
Ci investe
Morire al tuo fianco
È un modo meraviglioso di morire
E se un camion da 10 tonnellate
Ci uccide entrambi
Morire al tuo fianco
Beh, il privilegio, il piacere è mio
Disperazione e altre storie
È anche vero il fatto che non manchino momenti allegri nell’album, come ‘Frankly Mr Shankly’, una sorta di filastrocca goliardica dedicata al produttore dell’album, e ‘Bigmouth Strikes Again’, un’autocritica di Morrissey per il suo fare sempre la rana dalla bocca larga, trasformata in una cantilena infantile. Chiude l’album ‘Some Girls Are Bigger Than Others’, una lode alle donne e alla loro caparbietà.
Il capolavoro emotivo dell’album resta però ‘There Is a Light That Never Goes Out’, forse una delle canzoni d’amore meno scontate di tutti i tempi. Con la solita maestria, Morrissey riesce a parlare dell’argomento senza mai usare la parola ‘love’ (anche se la metafora della luce che non si spegne mai indica proprio questo) descrivendo una relazione-salvagente, l’unica capace di tenere la voce narrante lontana dalla misantropia e dalla desolazione della vita quotidiana. Marr arricchisce il tutto con una strumentale orecchiabile e profonda, decisamente memorabile.

Una luce che non si spegne mai?
La breve parabola degli Smiths, formatisi nel 1982 e scioltisi nel 1987 per dissidi creativi, dimostra come si possa diventare un grande gruppo in poco tempo e con una discografia relativamente ristretta. L’immagine stessa degli Smiths, disperatamente malinconici nei testi ma meravigliosamente solari nelle strumentali, veri e propri capolavori della musica pop, contribuisce ancora oggi a far apprezzare questo gruppo ai giovani. Non serve essere una luce che non si spegne mai per entrare nella storia della musica pop e ,come diceva Hendrix, la candela che brucia il doppio dura la metà…
