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Ma è la rubrica giusta?
“Ma come Dua Lipa? Su ‘Future Vintage’?” diranno i miei 25 lettori (dai dai, mi mantengo umile, ma voi… spargete la voce!). E hanno anche ragione, visto che stiamo comunque parlando di ‘Future Nostalgia’, album uscito nel 2020, orizzonte temporale ben lontano dagli anni ’80, tema principale di questa rubrica. Ma le sue caratteristiche (positive o negative, fate voi) lo rendono un album ‘perfetto’ per gli anni ’80, sufficientemente superficiale e sensuale.

Due parole su Dua Lipa
‘Future Nostalgia’, secondo album di Dua, cerca di condensare tutta la popolarità acquisita in questi ultimi anni dall’artista in un album ricco di potenziali singoli da classifica e materiale orecchiabile: del resto, stiamo comunque parlando di un’artista squisitamente pop, legata con un fil rouge a Lady Gaga, a sua volta erede di Madonna. Dalle due artiste, Dua recupera anche un senso camaleontico per la moda e l’eleganza, cambiando continuamente look e colore dei capelli.

Il titolo dell’album di per sé sembra quasi criptico: tenere insieme le parole ‘futuro’ e ‘nostalgia’, apparentemente un ossimoro, acquista un senso proprio solo se lo si analizza più attentamente. Il futuro equivale al passato, unica dimensione temporale di cui si può avere nostalgia, e Dua ce lo dimostra platealmente pubblicando un album che non sarebbe stato all’avanguardia neanche nel 1987.
Un album confuso e che mira a confondere l’ascoltatore, intrappolandolo in una dimensione che non esiste: gli anni ’80 come visti dalla musica post ‘fine della storia’ sono poco più di una finzione artistica, una sorta di finta Arcadia in cui rifugiarsi mentre la realtà attuale ci crolla addosso a pezzi con tutte le sue contraddizioni e brutalità.
You want a timeless song
I wanna change the game
Tu vuoi una canzone senza tempo
Io voglio cambiare il gioco
‘Future Nostalgia’, Dua Lipa
Cosa ha da dire questo album?
Non è un caso che la opener e titletrack sia già una dichiarazione di intenti: per Dua, cambiare le regole del gioco (nella musica del pop probabilmente) equivale a fare quello che l’industria musicale ha fatto sistematicamente negli ultimi 10/15 anni, ossia copiare di continuo stilemi anni ’80. Da qui all’album hauntologico, il passo è di fatto già compiuto.
La copertina stessa, che gioca su una perfetta alternanza tra chiari (Dua iper-colorata in primo piano) e scuri (il cielo notturno con tanto di luna sullo sfondo), richiama l’estetica anni ’80. È anche inutile dire che un album del genere senza Dua avrebbe comunque funzionato meno: molte tracce sono parecchio deboli, e la cantante deve sempre compensare richiamando l’attenzione verso la sua voce (che sia corretta o meno con autotune, poco importa alla fine).

Breve excursus tra i brani
Diversi brani si richiamano in maniera esplicita agli anni ’80: ‘Physical’, un synthpop piuttosto upbeat, allude ovviamente all’omonimo brano di Olivia Newton-John, mentre ‘Break My Heart’ riprende platealmente il riff di chitarra di ‘Need You Tonight’ degli INXS.
L’atmosfera di già sentito ovviamente pervade qualunque brano, come ‘Boys Will Be Boys’ che ricorda quasi quel pop per adolescenti, sdolcinato e melodrammatico, che andava di moda una decina di anni fa o ‘Good in Bed’, tutta giocata su una progressione vocale scontata. ‘Hallucinate’, unico brano scritto senza la presenza di Dua, sembra omaggiare più l’atmosfera da discoteca dell’epoca, e resta forse tra i brani leggermente meno scontati dell’album.

Cosa c’è meglio di questo album?
Come risponderebbe quel famoso tiktoker, tutto! Non fraintendetemi, non ho niente di personale contro Dua, ma ciò che non capisco è come un album del genere, tremendamente derivativo, sia riuscito a prendere pure un Grammy come miglior album di pop vocale.
C’è qualcosa di profondamente sbagliato in tutto questo: la continua, ossessiva ripetizione di ciò che è già stato, oltretutto ammantato con questo insopportabile senso di nostalgia (il fatto che i boomer odierni fossero giovani negli anni ’80 non rende questa decade migliore delle altre, anzi), sarebbe un chiaro sintomo di nevrosi per Freud. Stupisce oltretutto come questo senso di nostalgia sia stato trasmesso anche a chi è nato dopo gli anni ’80: la nostalgia per qualcosa di non visto e di non conosciuto ha davvero poco senso, anche nel caso di Dua.

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