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John Lydon tra ‘pistole del sesso’ e ‘immagine pubblica’ 2

I fallimenti e il vero essere di un personaggio caduto nel conformismo

Scarsa fantasia a partire dal titolo

Dove eravamo rimasti? Ah sì, al 1986. In quell’anno, John Lydon (di fatto da solo ma sotto il nome PiL) dà alla luce ‘Album’, che prosegue la discesa nel mondo del commerciale iniziata con l’album precedente. Del disco vale la pena ricordare l’inno motivazionale ‘Rise’, pubblicato come singolo e lo spudorato pop rock di ‘F.F.F.’, ‘Fishing’ e ’Bags’. Le parti percussive portano la firma di Tony Williams e di Ginger Baker, mitico batterista dei Cream, mentre la loro registrazione non poteva che avvenire ai celebri Power Station Studios di New York, famosi per il loro eco naturale.

La grafica minimale dell’album, e il suo nome, non sono però scelti a caso: rimandano infatti al design usato da una nota catena di supermercati americani per i suoi prodotti generici. In effetti, il disco vale poco più di un prodotto da scaffale e tranne per qualche momento, è virtualmente indistinguibile da altre dozzine di album pop rock pubblicati nello stesso periodo.

john lydon pil album
La copertina minimale di ‘Album’

Un altro buco nell’acqua

Un anno dopo viene alla luce ‘Happy?’, registrato ora con una vera band al seguito di John Lydon. L’album in realtà non è molto diverso dal precedente, ne continua anzi la deriva commerciale: Lydon cerca senz’altro di ritagliarsi un suo spazio tra le band pop rock dell’epoca, ma nel 1987 il genere è già saturo. ‘Seattle’, singolo di punta dell’album, non dice niente di che oltre alla sua palese orecchiabilità mentre ‘Rules and Regulations‘, realizzato con tanto di coriste al seguito (così come altri brani del disco), sembra un pezzo di Robert Palmer (o dei Power Station, poco cambia). Così come ‘Album’, anche ‘Happy?’ è un album da scaffale, da vendita all’ingrosso, fatto per soddisfare più gente possibile.

john lydon pil
Lydon e compagnia in una foto recente

‘9’ vite, proprio come i gatti

I PiL lasciano gli anni ’80 con la pubblicazione di ‘9’, uscito nel 1989. Lungi dall’essere un capolavoro, l’album è comunque più eclettico dei due precedenti e risulta anche meno insipido: si alternano pezzi orecchiabili come ‘Happy’ e ‘Disappointed’ al funky schizofrenico in stile Talking Heads di ‘Sand Castles in the Snow’. Qualche scivolone qua e là, tra coriste non richieste e brani da discoteca come ‘Same Old Story’, non permette di riabilitare comunque l’album, in ultima analisi mezzo riuscito. L’album inoltre mette da parte quel poco di cinismo rimasto dagli album precedenti, in una spirale di incosciente ottimismo.

john lydon 9 1989
Poster promozionale per ‘9’

Prima di prendersi una pausa ventennale, i PiL pubblicano ‘That What is Not’ nel 1992. L’album riafferma una vena rock e punk che sembrava ormai sopita da anni, con pezzi spinti come ‘Acid Drops’, ‘Love Hope’ e ‘Unfairground’. L’album è sia un tentativo di rispondere alla nuova moda del grunge, sia di proporre comunque un rock più classico e professionale, registrato e prodotto in maniera assolutamente non superficiale. Si chiude così la parte centrale della carriera di Lydon, che con i PiL pubblicherà solo altri due album reunion, non fondamentali, nel 2012 e nel 2015.

Se fai incazzare gli altri, significa che stai facendo la cosa giusta

John Lydon

Chi è veramente John Lydon?

Vale la pena spendere due parole anche sul John Lydon contemporaneo e su cosa pensi della realtà in cui vive. Trasferitosi negli Stati Uniti, negli ultimi anni Lydon si è circondato di dichiarazioni spesso equivoche e incoerenti: nel 2015 descriveva Trump come un banale agente immobiliare e prometteva di non votarlo mentre nel 2020 faceva palesemente campagna a suo favore, indossando magliette con la scritta ‘Make America Great Again’ e descrivendo l’ormai ex presidente come un uomo del popolo.

In merito al ‘prolifico’ dibattito sulla cancel culture, ha ovviamente preso posizioni reazionarie dicendo che i manifestanti di Black Lives Matter che abbattono statue di schiavisti sono solo dei bambini viziati, figli di una cultura divisiva. Lydon è la conferma di come l’anticonformismo fine a se stesso, continuamente spettacolarizzato e senza alcun serio radicamento ideologico, sfoci alla fine dei conti nella peggior forma di conformismo.

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