Di cosa stiamo parlando?
Ormai quasi dimenticati dai più, i Kraftwerk (in italiano ‘centrale elettrica’) sono in realtà tra i gruppi più influenti di sempre della scena elettronica e per la musica pop in generale: senza di loro, difficilmente gli anni ’80 sarebbero stati ricordati come il decennio delle tastiere e dei sintetizzatori. La loro discografia ‘classica’, collocata tra 1970 e 1981 (o 1986, se si vuole considerare anche ‘Electric Cafè’, per me un album minore) rappresenta appieno l’evoluzione della musica elettronica in termini di percezione per il grande pubblico.

Gli anni del ‘krautrock’
Lo zoccolo duro della formazione è composto da Ralf Hütter e Florian Schneider, studenti del conservatorio di Düsseldorf. La scena musica dell’epoca in Germania è quanto mai vibrante e stimolante: il ‘krautrock’, un genere musicale eclettico che riunisce in sé rock progressivo, musica cosmica e strutture libere tipiche del jazz, viene portato al successo artistico da diversi gruppi come Amon Düül (e Amon Düül II), Can e Faust. Vale la pena menzionare anche i Neu!, un duo di ex membri proprio dei Kraftwerk. Gli album prodotti in questo periodo (‘Kraftwerk’, ‘Kraftwerk 2’ e ‘Ralf & Florian‘), tutti registrati tra 1970 e 1973, cacofonici e aperti ad ogni tipo di sperimentazione, sono figli di questo ambiente culturale all’avanguardia.
La svolta commerciale
‘Autobahn’, uscito nel 1974, sembra un album ben distante da ciò che definiremmo oggi commerciale: la prima facciata del vinile è occupata dalla titletrack, una suite di quasi 23 minuti, mentre il secondo lato è composto da brani di lunghezza standard, tutto sommato dei riempitivi. La suite in realtà presenta pochi passaggi cacofonici e ‘intensi’ come i brani dei primi album, e alla fine dei conti non è altro che una canzone canonica allungata e ripetuta all’inverosimile, ma comunque apprezzabilissima.
Sulla stessa linea continua ‘Radioactivity’, uscito un anno dopo e contenente brani ormai di lunghezza canonica su cui spiccano la titletrack, uscita come singolo, e ‘Antenna’, un’ode alle tele-comunicazioni.
Wir fahren, fahren, fahren auf der Autobahn
Wir fahren, fahren, fahren auf der Autobahn
Vor uns liegt ein weites Tal
Die Sonne scheint mit Glitzerstrahl
Guidiamo, guidiamo, guidiamo in autostrada
Guidiamo, guidiamo, guidiamo in autostrada
C’è una vallata davanti a noi
Il sole splende con i suoi raggi scintillanti
Kraftwerk, ‘Autobahn’
La definitiva consacrazione
I Kraftwerk meriterebbero già di essere ricordati per questa parte della loro carriera, ma il loro capolavoro resta probabilmente la trilogia formata da ‘Trans Europe Express’, ‘The Man-Machine’ e ‘Computer World’. Il primo è il loro album più sinfonico, malgrado le sonorità elettroniche siano in diversi passaggi quasi martellanti (a simulare il rumore di un treno sulle rotaie), ed è l’ennesima lode al progresso tecnologico che avvicina le persone e rende più facili e veloci gli spostamenti.
‘The Man-Machine’, uscito in piena era punk nel 1978, è il loro album dalle sonorità più industriali e resta impresso per la sua celebre copertina, in cui i membri del gruppo sfoggiano la loro divisa formata da camicia rossa e cravatta nera con tanto di led: l’opener, ‘The Robots’, resta un magnifico esempio di elettronica minimalista.

Dall’analogico al digitale
Chiude la trilogia ‘Computer World’, album del 1981 decisamente più pop, quasi da camera in certi suggerimenti (basti pensare alla delicatissima ‘Computer Love’, poi presa in prestito dai Coldplay di ‘Talk’) ma che riesce comunque ad anticipare generi come la techno in ‘Numbers’. L’album simboleggia anche il passaggio dal mondo analogico, fisico e materiale, a quello digitale, astratto e dominato da computer e sofisticati software di calcolo: le sonorità qui sono più sintetiche che mai, molto lontane dal suono tutto sommato caldo e corposo degli album precedenti.

Il culto della tecnologia
L’immagine dei Kraftwerk come gruppo di musica elettronica, e quindi moderna e all’avanguardia, li ha senz’altro spinti ad abbracciare la tecnologia in ogni sua forma. Già dai suoi esordi, il gruppo faceva uso di sintetizzatori, strumenti piuttosto sofisticati per i primi anni ’70, e nel tempo sviluppò dei veri e propri strumenti elettronici amatoriali, come delle rudimentali percussioni elettroniche su pad circondati dalla stagnola (visibili qui). Per un gruppo così freddo e asettico all’apparenza, il richiamo al mondo della robotica è ovvio: nel video promozionale di ‘The Robots’, i membri del gruppo si muovono a scatti proprio come dei robot e sono spesso sostituiti da manichini, una scelta stilistica che hanno adottato in diversi loro concerti.

Una questione di lingua
I Kraftwerk sono tra i pochi gruppi ad avere inciso in più lingue pressoché tutta la loro discografia più nota. La versione considerata più canonica è senz’altro quella in inglese, per il mercato internazionale, ma meritano anche le versioni in tedesco di alcuni loro brani: la lingua tedesca aggiunge spigolosità e durezza ad un album dalle sonorità già dure come ‘The Man-Machine’, provare per credere. Una chicca che molti non sanno è che i Kraftwerk cantarono in italiano ‘Pocket Calculator’ da ‘Computer World’ per il programma Discoring (una sorta di Top of The Pops all’italiana) durante la promozione del disco, ed è tipico che la ripropongano ai loro concerti in Italia.
