Spotify e il monopolio
Guardiamoci negl’occhi: tutti ascoltiamo o abbiamo ascoltato musica da Spotify.
Perchè Youtube è scomodo, scaricarla fa troppo 2004 e Tidal continuo a pensare lo avesse solo JAY-Z.
Insomma, basti pensare che pure alla pirateria si preferisce quello: si potrebbero cercare milioni di piattaforme di streaming sulle quali ascoltare musica in modi poco leciti, aggirandone il pagamento. Ma anche lì, tutti si buttano su spotify.
(Vorrei precisare che non voglio in alcun modo incentivare la pirateria. Comprate i dischi, grazie)
Decisamente il cavallo vincente
Basta fare due più due per capire come sia il cavallo vincente fra tutte le piattaforme di streaming: altre potranno risultare più ricche di contenuti per determinati generi, con magari più possibilità di ascolto per alcune nicchie, ma Spotify è l’unica piattaforma dove si può, ad ora, sfondare all’interno del grande circuito musicale.
Non importa chi sei o cosa fai: avrai la possibilità di essere ascoltato dai milioni di utenti presenti anche solo nel nostro paese.
Oltretutto non è mai stato così facile essere distribuiti su una piattaforma simile, permettendo a chiunque di farlo.

Bellissimo! No?
In un mondo di meraviglie, dove le nuvole sono composte da zucchero filato, questa sarebbe un’ottima notizia.
Insomma, meritocrazia allo stato puro: una sola piattaforma, e chiunque con la stessa possibilità di essere ascoltato rispetto ad un altro.
Spotify diventerebbe l’America, la landa dalle infinite possibilità.
Ma così non è.
Come l’America non è nessun paradiso in terra.
Perché basta pensarci un attimo: cosa impedisce a un’ente privato, a un’azienda costruita per fatturare, di creare accordi con artisti ed il loro management per l’arricchimento di entrambe le parti?
Nessuno.
Chi potrebbe opporsi a una scelta simile?
Precedenti non ragguardevoli
L’ipotesi, poi, viene avvalorata dall’articolo di Bloomberg su quanto, dopo una faida lunga anni tra Apple Music e spotify, quest’ultima ha incominciato a rendere sempre più difficili da trovare gli album di artisti colpevoli di aver stretto accordi con il competitor. Accordi dove ovviamente non veniva segnata la completa esclusività di brani a Apple Music, ma solo di determinati progetti.
Questo potrebbe risultare anche sensato, se le due piattaforme avessero un livello d’utenza simile, ma ovviamente così non è.
Chi non vorrebbe stare con Spotify?
Visto tutto, il colosso di Daniel Ek diventa l’unica scelta per qualsiasi grande artista, nonostante la paga misera del servizio.
Non risulta strano possano quindi nascere collaborazioni con grandi artisti, che magari ci siamo abituati a vedere onnipresenti sulla piattaforma, persino su Spotify Italia.
Potrebbe quindi star creando accordi con il management di grandi artisti in modo da mettere in secondo posto la remunerazione data dalle stream, il classico due piccioni con una fava.
Tutte illazioni
Non posso portare nessuna prova concreta, quanto scritto potrebbe essere il frutto di una mia contorta immaginazione, ma come già precisato, sono le condotte dubbie del colosso dello streaming a non farmi pensare ad altro.
Insomma, alcuni artisti hanno lavorato con la piattaforma per darne dei contenuti esclusivi, come i video di Guè e Rkomi che ringraziavano i loro più accaniti ascoltatori nel ‘Spotify Wrapped’ dell’anno passato.

Con questo mio articolo non voglio attaccare assolutamente gli artisti: colpevoli, nel caso, di voler far ascoltare la propria musica.La condotta di Spotify è erronea, muovendosi da competitor in un sistema che vede lui come numero 1. Perché come ha svantaggiato chi costruiva rapporti con enti esterni, chi gli vieta invece di avvantaggiare chi crea dei contenuti per la propria piattaforma? Che sia questo il caso dei sopracitati artisti? Spotify sta effettivamente diventando un’etichetta discografica.