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Un personaggio non da poco
John Lydon, soprannominato ‘Rotten’ per i suoi denti guasti, entra a piene mani nel mondo della musica come cantante e frontman dei Sex Pistols: l’emergente mondo punk elegge a sua figura di riferimento il teppista di strada, ‘anti-conformista‘ e irrispettoso di tutto e tutti, ovvero Lydon stesso. La breve carriera dei Sex Pistols è costellata di gesti puramente provocatori messi prima della loro musica: dalla maglietta di Lydon con su scritto ‘I hate Pink Floyd‘ (tradotto, ‘Odio i Pink Floyd’) e il rifiuto di tutto ciò che era venuto prima musicalmente, fino a celebri e folli comparsate in tv.
Alla fine dei conti, i Pistols sono una sorta di boy band del punk messa assieme da Malcolm McLaren, manager abile e spietato, dove saper suonare non è certo la priorità: Sid Vicious, ‘bassista’ del gruppo, non sa suonare e non riuscirà mai a imparare a farlo abbastanza bene per esibirsi dal vivo, ma ha il look giusto per stare nel gruppo.
Essere punk vuol dire essere un fottuto figlio di puttana che ha fatto del marciapiede il suo regno, un figlio maledetto di una patria giubilata dalla vergogna e dalla monarchia, senza avvenire e con la voglia di rompere il muso al prossimo caritatevole
John Lydon sull’essere punk
Sì, ma la musica dove sta?
Nell’unico album dei Sex Pistols, ‘Never Mind the Bollocks, Here’s the Sex Pistols’ (1977), questo culto dell’eccesso viene catturato solo in parte: brani come ‘Anarchy in the UK’ e l’ironico ‘God Save the Queen’ sono inni generazionali e incitano alla trasgressione fine a se stessa, ma tutto questo era già stato fatto dai Ramones, mitico gruppo americano, meglio e con qualche anno di anticipo.
Le chitarre di Jones, per quanto minimali e poco curate, rimandano comunque alla tradizione hard rock (genere che Jones porterà avanti nel resto della sua carriera) e la produzione stessa, in confronto a quella dei Ramones, è molto più curata e leccatina. L’esordio dei Pistols non è neanche il primo album di punk inglese: il primato va all’esordio dei The Damned, ‘Damned Damned Damned’, uscito pochi mesi prima.

Un esordio non scontato
Una volta che i Sex Pistols si sono sciolti per dissidi interni, Lydon crea i Public Image Ltd., abbreviato in PiL, e si circonda di musicisti di ben altra caratura. Il loro esordio, intitolato semplicemente ‘First Issue’(1978) è già su un altro pianeta rispetto all’esordio con i Sex Pistols: il punk resta senz’altro, ma il contesto è più eclettico e si avvicina molto a quello che sarà il nascente mondo del post-punk. Lydon probabilmente anticipa anche certi aspetti della musica noise, rendendo l’album piuttosto interessante in retrospettiva.

La fase dark punk
Ancora più ardito è ‘Second Edition‘ (1979), anche chiamato ‘Metal Box’ per la sua peculiare confezione di metallo: qui le atmosfere si fanno decisamente più cupe e rarefatte, magistralmente guidate dal basso di Wobble e dalla chitarra elettrico-metallica di Levene, altra mente importante dei PiL.
Lydon qui propone un sound quasi vicino ai Joy Division, ma ripulito da ogni potenziale istanza commerciale: diversi brani sono lunghi, dilatati e ripetitivi, quasi ipnotici, mentre le soluzioni stilistiche tendono spesso alla cacofonia più lampante e alla musica industrial. Sull’intero album aleggia un enorme senso di apocalisse, con Lydon che si presenta come aedo di questa catastrofe in brani come ‘Albatross’.

Sulla stessa linea prosegue ‘The Flowers of Romance‘(1981), aggiungendo qua e là alcuni elementi di world music, basti sentire il canto tribale di ‘Four Enclosed Walls’, i ritmi orientaleggianti della titletrack e il percussionismo esasperato di ‘Under the House’. Questa fase resta probabilmente la migliore di tutta la carriera di Lydon e della sua creatura.
La nuova fase commerciale
Dopo due anni di silenzio, i PiL pubblicano ‘This is Not a Love Song’(1983), singolo promozionale per ‘This is What You Want… This is What You Get’ (1984): come molti gruppi all’epoca di MTV, Lydon e compagnia si trovano a dover rendere il loro sound più commerciale e accessibile a un pubblico più giovane, troppo piccolo per apprezzare il loro sperimentale dark punk.
L’album non è assolutamente da buttare: brani come ‘Bad Life’ mostrano un’attenzione ritmica notevole e strumenti come il sassofono vengono incorporati nel sound del gruppo mentre ‘The Pardon’ richiama le atmosfere del periodo dark punk. Chiude il disco ‘The Order of Death‘, un semplice pattern di tastiere dove Lydon ripete incessantemente il titolo dell’album: il brano, in stile alternative dance à la New Order, si può sentire anche in un episodio di Miami Vice. L’album non fu accolto troppo entusiasticamente dalla critica, ma il singolo resta quello di maggior successo per la band. I PiL ci riproveranno nel 1986 con ‘Album’, ma questa è un’altra storia…

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