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Ritorna la Milano di Don Joe…
‘Milano Soprano’ è l’ultimo album di Don Joe, uscito nelle scorse settimane.
Un album rap, dal sapore di asfalto, perfettamente in linea con l’immaginario dei Dogo di cui Don Joe è tra i principali creatori.
Un disco solido, ben prodotto e che ho lasciato scorrere volentieri tra i miei ascolti giornalieri, che potrei fortemente consigliare a chiunque sia fan del genere, e anche un ascolto veloce per i più curiosi.
…ma non a tutti va bene
Scrollando i miei social però, mi sono imbattuto in un commento sugli argomenti del disco, che recitava circa così: “sono stufo di ascoltare una Milano dipinta in questo assurdo modo da gangster, da milanese mi sento offeso a non trovare nessuno che ne elogi i pregi, che ne parli in modo positivo“.
La prima possibile risposta balenata nella mia testa è stata “beh, cambia genere!“ Ma dopo una riflessione più lunga di un microsecondo, ho incominciato a ragionare se si parli effettivamente troppo di strada: la risposta è chiaramente sì, ma ci si dimentica del come.
Assolutamente vero che ‘Milano Soprano’ sia pieno di artisti che ricalchino immaginari malavitosi, criminali e violenti, ma allo stesso tempo è altrettanto vero quanto quasi nessuno di questi abbia un modo di scrivere uguale a un altro.
L’amore e la strada

L’amore è un esempio lampante di cosa io intenda sopra: il grande cantautorato italiano ne è sempre stato intriso, ma mai mi sognerei di accostare il modo di scriverne di Paoli a quello di Tenco.
Lo stesso vale per l’immaginario della strada, mai penserei di equiparare quello di Massimo Pericolo a quello di Paky:
hanno stili e modi di dire completamente diversi, pronti a colpirci in modi differenti, pur parlando dei medesimi argomenti.
Questo permette ad album come ‘Milano Soprano’ una certa eterogeneità, per quanto gli argomenti rimangano sempre i soliti. Lamentarsi di questo però, ha lo stesso senso di criticare il Festival di Sanremo per le troppe canzoni d’amore: sono sì stucchevoli, ma è da ignoranti affermare che la canzone italiana non si basi principalmente su una sfera sentimentale.

Milanofobia
E quindi bisogna per forza parlare negativamente della città di Milano?
Ovviamente no, non credo che nessuno nell’ambiente del rap italiano abbia deciso di istituzionalizzare una corrente ‘milanofobica‘.
Però, se si cominciasse uno stravolgimento per una visione positiva della città nei testi della trap italiana si perderebbe un certo senso di appartenenza: gli artisti creano una loro visione attraverso ciò in cui loro credono e osservano, e ovviamente lo stile musicale influenza il tutto.
Non ha senso una trap che non provoca, che non va oltre degli schemi, nonostante questi siano fissi da cantante a cantante.

Non tutto è per tutti
Io non sono cattiva, è che mi disegnano così
Jessica Rabbit, in ‘Chi ha incastrato Roger Rabbit?’
Milano non è quindi una città unicamente malintenzionati, ma lo è nel genere per ora più forte all’interno del panorama musicale italiano.
Nel caso un po’ fuori dall’ordinario in cui nascesse uno stile incentrato solo ed esclusivamente sulla bellezza urbanistica del capoluogo lombardo arriveremmo allo stesso punto, ma dalla prospettiva completamente opposta.
In sintesi, non esiste una soluzione, se non il consiglio rapido e indolore dato all’inizio dell’articolo: quello di cambiare genere.
Ma tutto è da capire
Ovviamente questo non deve essere una scusante: l’avere una visione comune non significa per forza essere costretti a scrivere banalità.
Al puro livello artistico la re-immaginazione è la chiave fondamentale dell’estro, se quindi si cade nel riutilizzo di determinate figure testuali già abusate nel passato questo è un puro e semplice difetto, ma da indicarsi all’artista, non alla ‘corrente’ in sé per sé.
Concludendo, dubito che qualsiasi persona capace di intendere l’arte sarebbe capace di criticare le opere di Michelangelo poiché appartenenti alla stessa corrente artistica di Raffaello, e di conseguenza ridondanti perché già create da qualcuno nel medesimo periodo e con tecniche simili.
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