Egitto-Danza

Chi vuole cantare con le sacerdotesse dell’antico Egitto?

Alla scoperta di miti, società e melodie sepolti sotto millenni di sabbia

di Gianmarco Botti

Gli dei, gli uomini e Jimi Hendrix

Immaginate un gigantesco tempio, in una sabbiosa valle d’Egitto, vagamente a forma di chitarra. Dentro, Jimi Hendrix si esercita tutti i giorni, per uscire in processione con altri talentuosi musicisti e danzare e ballare per onorare gli dei. Questo, più o meno, lo scopo del tempio di Hator a Dendera, architettonicamente ispirato al sistro, uno dei primi strumenti musicali della storia umana.

Temple Hator Dendera, Egitto
Tempio di Hator a Dendera, facciata

Per la continua fagocitazione di dei da parte di altri dei, costume dell’evoluzione culturale dell’antico Egitto, è difficile capire esattamente quale divinità abbia soffiato nell’uomo la musica, ma noi vogliamo partire dall’origine. Per prima fu Bat, la dea dal volto umano e orecchie o corna di mucca, a donare agli uomini danza, canto e melodia. Il suo nome è molto indicativo, deriva da Ba e significa più o meno ‘anima’, o ‘emanazione’.

Assorbita in seguito nel culto di Hator, dea legata all’immagine della femminilità come elemento allo stesso tempo creativo e distruttivo, la musica nell’antico Egitto apparteneva alla sfera della creazione, dell’ebbrezza. All’aspetto più generoso e generativo delle due facce della medaglia. Secondo il mito, veniva usata da Osiride per diffondere la civiltà nel mondo.

Donne, uomini e musica in Egitto

Sistro Tolomeo I
Sistro con iscrizione del nome Tolomeo I, 305-282 a.C.

Come Hator, donne sono anche le sue officianti, che escono dal tempio in processione danzando e suonando arpe, strumenti a percussione e, soprattutto, il sistro, spesso scolpito a forma della divinità. Nove sacerdotesse, assorbite in seguito nel culto di Osiride, che forniranno l’ispirazione per le muse delle arti, che tutti conosciamo.

La musica non era un compito riservato esclusivamente al mondo femminile, ma soltanto una donna era sufficientemente pura da poter venerare la divinità faccia a faccia, senza intermediari. Gli uomini suonavano e cantavano fuori dal tempio, spesso per le strade come intrattenitori.

Le arti musicali appartenevano ad ogni classe sociale, ma, come prevedibile, nell’antico Egitto soltanto chi era di buona famiglia poteva aspirare a raggiungere la cima. Tra i fortunati, sicuramente Meresamun, sacerdotessa del tempio di Amun, a Karnak.

Con altre donne provenienti dalle élite cittadine, suonava, cantava e ballava, alternando un mese di ‘ingaggio’ a tre mesi di amministrazione domestica, come un moderno lavoro part-time. A differenza dei nostri contemporanei, però, il lavoro le portava riconoscimento e fortuna, come testimonia il ricchissimo corredo sepolto assieme a lei.

Sarcofago di Meresamun
Sarcofago di Meresamun, foto di Anna Ressman

Una chiave per l’altro mondo

Nel cuore del tempio di Hator era custodito un meraviglioso sistro in pietra, scolpito con il volto della dea.

Nefertari
La Principessa Nefertari con in mano un sistro

Si tratta di uno strumento a percussione, a forma di U rovesciata, con asticelle interne che reggono anelli liberi in metallo o pietra e che, scossi o colpiti con una bacchetta, restituiscono una breve cascata di suoni metallici.

Al sistro veniva attribuito un grande potere magico, al punto da essere persino suonato nella speranza di placare disastri e calamità, come le eccessive piene del Nilo.

La sua forma era volutamente molto simile all’Anhk, la chiave della vita, uno dei simboli più conosciuti della tradizione egizia, nelle raffigurazioni spesso offerta dalla divinità al faraone. Essa rappresentava il dono della vita eterna dopo la morte e il più alto livello di benevolenza divina, riservata solo agli uomini e alle donne più potenti della società.

La musica è l’araldo del mondo che verrà

Algernon Charles Swinburne

La musica, come l’Anhk, aveva per gli egizi il potere mistico di connettere con la vita, la morte e l’aldilà. Era una chiave che poteva aprire un canale di comunicazione con l’ultraterreno e con gli dei. Pensando a come la rappresentiamo, anche nel nostro mondo scientificamente scettico, ci accorgiamo che le cose da allora non sono cambiate molto (‘Soul’, il bellissimo titolo Pixar, ne è un esempio d’oro).

Musica araba, strumenti del passato

Non possiamo ricostruire fedelmente un concerto al tempio di Hator. Nessuno sa esattamente come suonassero e come si suonassero gli strumenti musicali di tremila anni fa. Se non pretendiamo di ricatturare esattamente le sonorità dell’epoca delle piramidi, possiamo comunque andarci molto vicini proponendovi un brano di ODO Ensemble.

Dormi, finché è buio
presto le nuvole spariranno
e la chiara luce si diffonderà tutto intorno

Nami Nami, Ninna Nanna tradizionale Egiziana

La compagnia di ricerca ed interpretazione, che ha base nell’abbazia di Cluny, ci regala una ninna nanna tradizionale successiva alla dominazione araba, suonata solo con gli strumenti già in uso in antico Egitto, come il tamburo Darbuka (ultimo a destra nell’orchestra) e il flauto Ney (penultimo a destra). Senza sabbia, tra la sabbia.

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