Analisi di un’isteria collettiva
Capita sempre più spesso di trovare, su quotidiani cartacei oppure nelle loro pagine online, articoli con precisi riferimenti a fenomeni come ‘cancel culture’, traducibile come ‘cultura della cancellazione’ (o per alcuni, ‘cancellazione della cultura’), e al più classico ‘politicamente corretto’, ormai noto a tutti. Con ‘cancel culture’ in particolare si intenderebbe un atteggiamento di ostracizzazione, quindi volontà di isolare, chi non rispetta le regole o le consuetudini, scritte o meno, di una data comunità.
La tendenza di questo tipo di articoli è proprio quella di suscitare indignazione nel lettore, sottoponendo casi spesso inventati di persone e opere artistiche vittime di questa cancellazione.
Un sistema ben oliato
Come già sottolineato da altri colleghi commentatori online, lo schema di diffusione di queste non-notizie è molto semplice: un fatto irrilevante accade da qualche parte nel mondo (spesso negli Stati Uniti, o comunque il più possibile lontano da noi) e viene magari documentato da un piccolo quotidiano locale.
A questo punto, un giornale a tiratura nazionale, che sia un generico tabloid inglese o un quotidiano italiano, rilancia la notizia, distorcendola e aggiungendo spesso parti non presenti o tradotte in maniera completamente errata dall’articolo iniziale. Detto fatto, l’articolo è pronto per essere dato in pasto ai lettori e per avviare una nuova spirale di indignazione: anche una volta svelato l’inghippo, l’interesse è già svanito e tutti ricordano solo la prima versione della notizia.

Alcuni edificanti esempi
Il piuttosto recente episodio del bacio di Biancaneve, dove non meglio identificati attivisti avrebbero questionato il consenso di Biancaneve nell’azione del principe azzurro mentre ella dorme, nasce da un articolo di un giornale locale, il San Francisco Gate, dove viene recensita la ristrutturazione di un’attrazione della vicina Disneyland.
Nell’articolo, le due autrici fanno effettivamente riferimento al problema del consenso, ma sono pienamente consapevoli del fatto che si stia parlando di una favola e non di un episodio di vita reale, quindi la polemica nasce e muore letteralmente in due righe. Un altro episodio riguarda la ‘cancellazione’ della facoltà di studi classici dalla Howard University, sempre negli Stati Uniti, alma mater dell’attuale vicepresidente Kamala Harris. Si scoprirà poi che la facoltà è stata chiusa non per il maschilismo insito nella letteratura classica, ma semplicemente perché non era più economicamente sostenibile dall’università privata viste le poche iscrizioni.

Cronaca di un disastro
Malgrado le ripetute falsità dietro a queste vicende, ‘cancel culture’ e amenità varie stanno facendo breccia anche nel cuore degli italiani: secondo un sondaggio di Termometro Politico, il 52% degli italiani pensa che la ‘cancel culture’ sia un pericolo a cui la politica si è ormai piegata. A livello globale, basta usare lo strumento di Google Trends per vedere come, ad ondate, il termine di ricerca ‘cancel culture’ riceva tassi di popolarità incredibilmente alti (100 è il massimo possibile). Chi l’avrebbe mai detto che in fiere democrazie liberali occidentali come la nostra c’è qualcuno che prova a indirizzare in maniera così subdola l’opinione della popolazione votante…

Chi è il responsabile?
Parte della stampa ha gravi colpe principalmente attraverso articoli click-bait e di finta opinione, il cui scopo è quello di attrarre click e visualizzazioni e non di informare correttamente il lettore: l’editoria classica tenta così di sopravvivere al calo di vendite dei quotidiani cartacei. Questi articoli sono spesso approssimativi e scritti in maniera sbrigativa, senza alcun tipo di riflessione profonda e costruttiva sulla tematica.
Diversi giornalisti (Guia Soncini, Marcello Veneziani e altri) hanno responsabilità gravi per aver diffuso mezze verità e indignazione gratuita, ed è palese come l’argomento porti facilmente visibilità. Tra articoli prêt-à-porter e libri di cui parlano tutti (‘L’era della suscettibilità’ di Soncini, un pamphlet basato su una tesi smontabile da un adolescente), il quarto d’ora di celebrità è garantito.
La maledizione del bipartisan
La confusione post-ideologica in cui viviamo crea diverse gaffe, come l’endorsement al tema della ‘cancel culture’ da parte di alcuni giornalisti tradizionalmente ritenuti ‘di sinistra’ come Michele Serra, ma che evidentemente hanno smesso di comprendere la realtà da molto tempo, problema tipico di molti appartenenti alla generazione dei cosiddetti ‘boomers‘. Pure diversi artisti, come Carlo Verdone, cadono nel trabocchetto per ignoranza politica e anche per strappare qualche applauso. Al quotidiano ‘Il Foglio’ va invece il triste primato di avere introdotto per primo tra i grandi quotidiani italiani l’espressione ‘cancel culture’.
Immagina che qualcuno mi si sieda accanto annunciando di essere Napoleone. L’ultima cosa che voglio è di essere coinvolto in una discussione tecnica sulle tattiche della cavalleria nella battaglia di Austerlitz. Se lo faccio, sono implicitamente coinvolto nel gioco in cui lui è Napoleone
Robert Solow
Giocare a fare Napoleone
Come scriveva Robert Solow, premio Nobel per l’economia, in polemica contro altri accademici, accettare le regole del dibattito fatte da altri è già ammissione di sconfitta. ‘Cancel culture’ e la ‘dittatura del politicamente corretto’ sono grimaldelli retorici inventati dalla destra americana prima degli anni Novanta e ciclicamente riproposti: farsi convincere della reale esistenza di questi finti problemi è già una sconfitta, un’eventuale discussione viene già pilotata verso le solite conclusioni (“non si può più dire niente“, “stiamo esagerando”, “ci vogliono censurare” etc…).

La destra, negli Stati Uniti e nel mondo, è ormai capace di fare egemonia culturale, trasformando le proprie idee in semplice e ‘inoffensivo’ buonsenso (quale politico usa spesso questo termine?). Come ci insegna la logica, da premesse false può seguire ogni tipo di conclusione, ‘ex falso sequitur quodlibet’, ma ciò non migliora assolutamente la nostra percezione della realtà.