La SIAE come “insolito baluardo” contro lo sfruttamento di posizione dominante
Anche se non ne sentiamo oramai parlare più da giorni, passato in sordina dopo davvero poco tempo, intendo quest’oggi fare una breve analisi su quelle che possono essere considerate le cause primitive che hanno portato alla crisi META/SIAE. Lo avevamo intuito, non appena uscita questa notizia, riportando le dichiarazioni di Meta, SIAE e FIMI (QUI l’articolo sul quale poterle leggere) e, a pochi giorni da una settimana esatta dal fatto, tutti gli utenti Meta si sono scontrati con l’impossibilità di inserire musica dal repertorio SIAE nei loro contenuti.
Premessa
In questo editoriale vorrei, insieme a voi, ripercorrere la storia che ci ha portati a oggi ma, ancor prima di iniziare, voglio fare una premessa. Il magazine che state leggendo è edito da tre produttori discografici (e autori), iscritti a società di collecting (come SIAE, ma non solo); ci sentiamo decisamente tirati in causa da quello che è successo (lo potrete ben capire).
Un problema che ha radici in un “passato giurassico”
Dovete sapere, care amiche e cari amici, che prima del web, dei selfie, dei filtri per avere la pelle liscia come il deretano di un neonato, esisteva un mondo diverso; potremmo quasi dire un mondo più “solido”. Prodotti come le canzoni avevano un sistema di acquisizione e utilizzo che ruotava attorno a dispositivi in grado di riprodurre la musica che era registrata su fonti fisiche (CD, vinili, audiocassette e chi più ne ha più ne metta). ‘Poi è arrivato Spotify!‘ Direte voi.
E invece no.
Prima dell’Era della Sylicon Valley (come la definisco io, anche se Spotify è un’azienda europea) l’umanità ha vissuto il periodo della pirateria informatica. E chi erano i pirati?
Fatta eccezione (e secondo me nemmeno tanto) per i membri della filiera discografica, chiunque scaricava illegalmente musica, film, e altri prodotti dell’ingegno (come il porno) in maniera totalmente illegale da piattaforme pirata alle quali tutti potevano accedere. È stato un periodo affascinante e, se vogliamo, un pochino ipocrita. Poiché tutti scaricavano illegalmente ma nessuno conosceva questi siti pirata; se ci pensate è proprio come nei porno.
Nessuno di noi guarda i porno, eppure le piattaforme che distribuiscono questi contenuti detengono i record di streams e visite.

C’è stato un momento nel quale, ne sono profondamente convinto, i nostri “padri e nonni discografici” avranno sicuramente pensato che “la messa fosse finita” (per essere ironici). E, proprio a questo punto della storia, sono arrivati “salvatori” del mercato: le piattaforme digitali che hanno spazzato via la pirateria proponendo ai loro utenti la possibilità (come nel caso di Spotify) di poter scegliere tra un piano totalmente gratuito (ma intervallato dalla pubblicità) o uno Premium a pagamento nel quale vi è l’assenza della reclamé. Meno di 10€ al mese per avere tutta, ma proprio tutta, la musica edita nella storia della musica moderna.
Si va da Mozart a Young Signorino, dai Beatles ai Gazzosa; qualunque canzone sia stata mai creata e distribuita è messa a disposizione dell’utente, in qualunque momento, al prezzo di una pizza ben farcita al mese. Non c’è voluto molto tempo perché anche i social networks capissero l’importanza strategica di lavorare con la musica; e così ci troviamo ad oggi con le canzoni inserite nei contenuti di Meta.
L’evoluzione e l’esplosione del fenomeno Instagram in Italia e in tutto il mondo ha fatto sì che la piattaforma diventasse per gli artisti e le etichette discografiche uno dei maggiori canali sui quali promuovere la propria musica. Pensate all’impatto che ha avuto la pandemia nel settore dei Live che, fino ad allora, era l’unica vera alternativa (escluse radio e tv) ai social per la promozione degli artisti stessi. Insomma, più i social hanno preso piede, più la musica ne è diventata dipendente.
La mediazione mancata
Mentre tutto questo stava accadendo in sordina (perché alla fine la musica e più in generale, l’editoria cosa conteranno mai) la politica ha totalmente perso la prima occasione per prendere la situazione sotto controllo. L’ha ignorata non comprendendo come il “mondo reale” stesse entrando e vivendo in un nuovo universo controllato da aziende private senza alcuna mediazione. Se pensiamo infatti al gruppo Meta si parla di un’azienda che nel 2022 ha conteggiato ricavi per 116,61 Miliardi di Dollari e che ogni giorno (parole del fondatore) vede sul solo Facebook 2 miliardi di utenti attivi in tutto il mondo.
Una società che da wikipedia viene descritta come operante nel settore “informatico”. Esattamente come il giornale online di Enrico Mentana Open, mi verrebbe da dire in maniera ironica per fare un esempio tra i tanti possibili. Quello che voglio dire è che l’informatica è il “territorio”, lo spazio nel quale opera Meta; ma cosa fa in questo territorio informatico Meta?
Guadagna mettendo pubblicità su contenuti generati da utenti come Enrico Mentana, ad esempio… quindi fa l’editore? Tutte le società della Sylicon Valley, hanno sempre risposto con un fermo no a questa domanda (che ve lo dico è un plagio, non l’ho posta io per primo ahimè). Ecco il fulcro, a mio avviso della questione. La politica ha posto a queste aziende la domanda sopraindicata secondo voi?
La mancata questione posta, unita al passare del tempo (che non ha fatto altro se non accrescere ancora di più il potere e l’influenza di queste multinazionali dell’editoria) sembra aver manifestato solo ora i primi sintomi; e da quello che si osserva si può presagire che siamo arrivati troppo tardi.