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Davide Shorty

Davide Shorty, il tour 2021, un disco, via le maschere cantautori

10 domande particolari per raccontare una musica unica nella sua intimità

Una storia tutta da ascoltare

Davide Shorty
Davide Shorty

Dalla periferia di Palermo alle strade di Londra, fino ad arrivare sui palchi di X Factor e del Festival di Sanremo. Muovendo passi in giro per il mondo, Davide Shorty ha inseguito con tenacia il sogno di diventare un artista. Esplorando se stesso e regalando agli altri una musica che potesse scalfire le armature e le maschere sociali fino a renderle tristemente irrilevanti. Il suo ultimo album, ‘Fusion’., uscito il 20 Aprile di quest’anno (il cui tour è ancora in corso), sembra essere il coronamento di un percorso musicale che lo ha visto crescere esponenzialmente.

Un’anima hip hop che sforna testi poetici e lessicalmente ricercati e che trova la sua completa espressione grazie ad una voce melodica e versatile, toccando suoni che ammiccano al funk, al jazz e all’R&B. Eravamo troppo curiosi di scoprire qualcosa in più su di lui, per comprendere fino in fondo la natura intima e introspettiva delle sue canzoni. Abbiamo deciso così di intervistarlo, alla scoperta dell’ispirazione artistica e degli sfondi sociali che dipingono la sua musica.

Davide Shorty in tour. Cosa si prova ad esibirsi di fronte ad un pubblico seduto? È difficile vedere una sorta di platea statica invece di una massa di persone che salta e balla?

“Devo dire che ho cercato di trarre il meglio da questa nuova situazione. Essendo la dimensione dei miei concerti, almeno per quanto riguarda questo tour, molto teatrale, abbiamo cercato di offrire al pubblico un’esperienza meditativa e di ascolto attivo. La musica che sto portando in giro adesso si adatta perfettamente a questa circostanza, perché propone delle melodie molto jazz e non ci sono canzoni particolarmente adatte ad essere ballate sotto cassa.

Abbiamo deciso di sfruttare questa necessità, imposta dal momento storico, a nostro favore, coinvolgendo la gente dal punto di vista introspettivo con un ascolto meditativo e profondo. Dopo 25 date del tour posso ritenermi soddisfatto dei risultati ottenuti, ogni data è stata un’esperienza unica e soddisfacente. Certo, ci sarebbe la voglia di alzarsi in piedi e ballare, ma ho visto una risposta molto positiva, come se le persone apprezzassero particolarmente questa possibilità di contemplare attivamente la musica dal vivo”.

I concerti, le date e le avventure in giro per l’Italia. Il tour è come una sorta di viaggio musicale. Quanto è importante questa dimensione per la tua ispirazione artistica?

tour
Davide Shorty con la sua band al completo

Il viaggio è la vita per noi essere umani. Abbiamo inventato infiniti modi per muoverci al di là dei confini, con l’obiettivo di arricchirci umanamente e culturalmente, apprezzando nuovi paesaggi e nuove conoscenze. È fondamentale per me, amo esplorare, visitare e incontrare nuove persone. La mia musica deriva dal viaggio, l’ispirazione ne giova tantissimo.

Anche perché, metaforicamente parlando, la ricerca stessa di suoni e parole è un continuo viaggio alla scoperta di sé. Quando sono in tour con la mia band, su quel furgone che viaggia per l’Italia portando in giro la nostra musica, mi lascio ispirare dalle loro compagnia e dai paesaggi che incontriamo sul nostro percorso. Assorbo un sacco di energia perché per noi, questo tour, è il coronamento di un percorso iniziato 3 anni fa.

Abbiamo registrato questo disco tutti insieme e adesso siamo orgogliosi di portarlo in giro per le città. A volte la stanchezza si fa sentire, soprattutto quando sei in tour, ma noi esseri umani abbiamo una skill importantissima, ossia quella di saper sfruttare la stanchezza per farci forza, trovando un’incredibile soddisfazione viscerale nella capacità di andare oltre i nostri limiti. A volte, comunque, il viaggio è un arma a doppio taglio. Perché dopo aver girato tanto, nel momento in cui ti fermi senti che ti manca qualcosa.

Devo ammettere che in vacanza ho faticato per riuscire a rilassarmi e sconnettere la testa dal brivido del tour. Diventa una ricerca di novità quasi ossessiva, bisogna trovare una certa stabilità”.

Quando ci si ferma è come se la monotonia tornasse a bussare alla porta. ‘Tutto di un colore solo’, come dici in ‘Monocromo‘. Ti capita spesso di scivolare in questo limbo?

“Si, anche se fermarsi, a volte, è necessario. Perché ti permette di rientrare in contatto con te stesso. Quando sei in viaggio o in tour per un tempo prolungato capita spesso che non hai modo di identificarti in uno spazio che possa sentire veramente ‘tuo’.

Mi ritrovo oggi senz’altro felice ed orgoglioso di aver fatto 25 date ma, alla fine, è da giugno che non mi prendo un po’ di tempo da passare a casa mia, nella mia stanza, ad ascoltare la mia musica in uno spazio che potrei sentire davvero mio. La realtà del tour, e del viaggio in generale, ha questa capacità di scalfire fin troppo, forse, la monotonia. Bisogna essere bravi ed impegnarsi per riuscire a sentirsi a casa anche quando si cambia letto una volta al giorno. Come si dice in inglese ‘there’s no place like home’”.

La monotonia, per certi versi, è affiancabile ad un’altra condizione che descrivi spesso nelle tue canzoni. Che rapporto hai con la solitudine? Ed è ricercata, redditizia dal punto di vista artistico?

Disco
Davide Shorty

“Quella ricerca della solitudine nasce proprio da un bisogno di reimparare ad amare se stessi. Il lavoro in tour di un artista (anche se non mi piace definirmi così, preferisco che siano gli altri ad identificarmi come tale), spesso porta a distrarsi dalla necessità di prendersi cura della propria mente.

Sicuramente la ricerca della solitudine, del silenzio e della meditazione sono degli ottimi escamotage per tornare a concentrarsi su se stessi, recuperando quella dimensione di intimità che spesso si perde quando si è in tour, ad esempio, in costante movimento per gli altri. In ‘Monocromo’ parlo proprio di questa ricerca di un ‘centro’, della necessità di trovare una centralità con se stessi.

È un’esplorazione interiore con il fine di comprendere che ‘alla fine sei tutto ciò che attrai’, come dico nella canzone. Puoi scegliere di essere positivo, così da attrarre cose positive, oppure puoi scegliere di essere negativo ma in quel caso attrarrai soltanto cose negative.

Credo molto nella legge dell’attrazione, ho cercato di applicarla alla mia vita con la fiducia che piantare un seme nell’universo, potesse creare l’eventualità che ne nascesse una pianta rigogliosa e ricca di potenzialità. Tutt’ora mi impegno affinché questo ‘ongoing process’ vada avanti nel migliore dei modi possibili, consapevole che la crescita, spesso, avvenga anche nei momenti di disagio e di difficoltà. Nulla di veramente grande e rilevante viene dalla zona di comfort. Uscire dalla comfort zone è rischioso, a volte spaventa, ma è anche uno dei modi migliori per scoprire, accettare ed amare se stessi”.

Affascinante la profondità lessicale dei tuoi testi. È una ricerca, quella, che da sempre costituisce un caposaldo dell’hip hop, ma che oggi si perde a favore di una spocchia a volte esagerata. Cosa ne pensi?

Non può che dispiacermi, anche perché è una situazione che mi fa partire in svantaggio rispetto a molti. Ciò che sembra andare per la maggiore, è proprio un’assenza generale di contenuti e soprattutto un’ostentazione e una spocchia che, personalmente, sento molto lontane. Non sono un tipo competitivo. Utilizzo la scrittura come terapia, nei miei testi racconto della mia sfera emotiva, di quello che osservo e di ciò che mi stimola, nel bene e nel male.

In Italia questa dimensione introspettiva dei testi sfugge alla maggior parte degli artisti e quindi, a volte, mi viene da pensare che il mio modo di fare musica non sia comprensibile da tutti. È il mercato musicale italiano che me lo suggerisce. Anche perché, alla fine, la musica è lo specchio del mondo in cui viviamo, della società che ci circonda”.

A proposito di società, ‘Tuttoporto’ spazza via l’idea diffusa che i musicisti non debbano occuparsi di questioni sociali. Politica e musica sono davvero due mondi così opposti?

Palco
Davide Shorty un tour

Pensa a cantare ti dicono, limitati a quello. Secondo me, molto spesso, il problema principale è che le persone non si rendono conto di una cosa importante, ossia che, al di là del cantare, noi cantautori scriviamo anche. E quando scrivi, esprimi delle idee. Se hai delle idee su determinate questioni sociali è normale che ti venga spontaneo parlarne nei testi. Se la gente parla di politica al bar, perché io non dovrei poterlo fare nelle canzoni?

Non ho la pretesa di essere un esperto di politica, non lo sono, cerco semplicemente di far venire fuori il mio buon senso. Essendo la scrittura lo specchio della mia personalità e delle mie emozioni, io scrivo di ciò che mi fa star bene e di ciò che mi fa star male. Così come canto delle cose che mi fanno stare tranquillo, canto anche di quelle che mi fanno arrabbiare.

In ‘Tuttoporto’, ad esempio, ho voluto raccontare di una questione che mi fa arrabbiare tantissimo, ossia del razzismo latente che si diffonde a macchia d’olio nel nostro Paese, anche per mano di un determinato partito politico, particolarmente votato e sostenuto ultimamente dai cittadini. Ho voluto dire la mia su quelli che io definisco gli ‘antivalori’. È un consenso che fa leva sull’ignoranza e sull’odio delle persone. Mi spaventa particolarmente, perché è un modo di fare politica che sta lentamente spazzando via una serie di valori democratici, necessari affinché i conflitti tra le persone rimangano sotto controllo”.

È un percorso difficile quello di un artista, ne parli anche in ‘Non si mangia una canzone’. Per inseguire il sogno, quanti hai dovuto lasciare indietro? I rimorsi sono ripagati da ciò che vivi?

“Mi reputo abbastanza fortunato da questo punto di vista. Non ho tanti rimorsi. Sicuramente ho dovuto lasciare indietro alcune persone, ma credo che sia avvenuto tutto con molta naturalezza. Quando non stai bene intorno ad uno o più individui, il corpo e la mente ti mandano dei segnali.

Nel corso degli anni ho cercato di allenare la mia capacità a riconoscere questi indizi, così da circondarmi di donne e di uomini con cui valesse veramente la pena condividere la mia vita. In questo periodo non posso lamentarmi, sono soddisfatto delle persone che ho intorno, cerco di essere il più possibile grato per tutto ciò e anche per i fallimenti e le difficoltà. Sicuramente in futuro ci saranno altre rotture e complicazioni, ma anch’esse sono fondamentali, perché la rivoluzione nasce dalla rottura. Tra il caos e il ‘tutto accade per un motivo’, probabilmente, c’è un ordine delle cose.

A volte sento una certa sincronicità nella mia vita, altre volte percepisco un grande caos. Comunque sì, è normale che abbia lasciato indietro un po’ di persone lungo il mio percorso. Sono venuto via dalla mia città, dove l’invidia è particolarmente radicata, ma ogni check-point mi ricorda chi sono e che, soprattutto, sto puntando dritto verso quella fantomatica versione migliore di me”.

Rimanendo su soddisfazioni e gratitudine, com’è stato collaborare con Dj Gruff? Quanto è stata importante la sua musica e quella dei Sangue Misto?

Dj Gruff
Dj Gruff

“Ti farei vedere ‘SxM’ e ‘I messaggeri della Dopa’ appesi nell’altra stanza… è un sogno che diventa realtà – Davide Shorty si esibisce in una smorfia particolarmente buffa e stracolma di riconoscenza mista ad incredulità –. Durante il primo lockdown mi arrivò un messaggio su WhatsApp proprio da Dj Gruff, che aveva avuto il mio numero da un amico in comune, l’attore palermitano Corrado Fortuna).

Da quel momento siamo entrati subito in sintonia, abbiamo iniziato a scambiarci musica e parlare di svariate canzoni. Per me lui è un vero maestro, un mago dei suoni e delle rime. È stata un’emozione incredibile quando, a Bologna, mi sono ritrovato sotto il palco mentre Dj Gruff scratchava la mia voce. Cioè stava suonando e giocando con la mia voce! Quella fu un’esperienza davvero mistica.

Credo che sia stato semplice dare vita a questa piacevole sintonia proprio perché lui percepisce tutto l’affetto e la stima che provo nei suoi confronti. La cosa più bella, per me, è sapere che questa stima sia reciproca. Sapere di poter contare sul supporto di uno dei tuoi punti di riferimento è una soddisfazione senza prezzo. Non posso che essere grato, con tutto me stesso”.

L’ultima traccia del tuo disco, ‘Abbannìa’, pare un esperimento poetico in lingua antica, oltre che una splendida perla. La canti con un’intensità emotiva travolgente. Com’è nata?

“’Abbannia‘ è nata proprio sotto forma di poesia. Eravamo immersi nel verde con la mia band, in un posto meraviglioso vicino al Lago Maggiore. Abbiamo passato lì una settimana, dedicandola interamente alla scrittura e alla produzione del disco. Quel giorno fu particolarmente strano. Venivo da una notte passata completamente in bianco, proprio a causa dei mille pensieri che mi suggerivano cosa avrei dovuto scrivere il giorno dopo. Ero nel dormiveglia sul divanetto dello studio, circondato dal microfono e dal computer.

Ad un certo punto Emanuele, il bassista, inizia a suonare questa melodia di basso estremamente evocativa, spirituale. Davide e Claudio, rispettivamente alla batteria e al piano, si uniscono ad Emanuele e io inizio a scrivere. La particolarità di quel momento fu il fatto che, poco prima, avessi fatto un sogno riguardante un naufragio. Due immagini mi rimasero impresse di quel sogno: la mamma sulla barca che teneva in braccio il bambino e la stessa coppia, poco dopo, accasciata sulla spiaggia.

Forse erano ancora vivi, il bambino dormiva e la mamma si guardava attorno (?). Queste due scene mi avevano trasmesso una tale intensità emotiva, che mi venne spontaneo raccontarle su quei suoni. Alternando la prima e la seconda persona in un vero e proprio vomito di parole, spontaneamente, come uscivano dalla mia testa. Mi sono alzato dal divano pieno di energia, abbiamo iniziato a ‘reccare‘, improvvisando tutto.

Il risultato fu ‘Abbannìa’, l’ultima traccia del disco, ovviamente con i dovuti assestamenti successivi e l’inserimento della meravigliosa coda scritta da Alessio Bondì. È un brano carico di trasporto emotivo, ogni volta che lo canto, in tour, è un’esperienza unica nella sua intimità e, soprattutto, per le reazioni delle persone all’ascolto. A Palermo è stata un’emozione travolgente, con una standing ovation finale che mi ha lasciato letteralmente senza fiato”.

Tornando sul sociale, fra una raccolta firme e una proposta di legge, in Italia, si continua a parlare della legalizzazione della cannabis. Perché, nonostante tutto, nessun artista sfrutta influenza e fama per approfondire l’argomento?

cannabis
Firma anche tu su referendumcannabis.it

“Perché schierarsi è scomodo, la gente preferisce non farlo così da non rischiare di perdere la stima e la fiducia delle persone. Se nessuno sa cosa pensi, nessuno sarà in disaccordo con te, e così è tutto molto più facile. Io sono un pessimo bugiardo, nel senso che non riesco a stare zitto e se penso una cosa la dico, a prescindere dalle conseguenze.

L’attivismo nasce per un bisogno, un’urgenza sociale, non si tratta di sfruttare o meno la fama e il successo. Se vuoi combattere per migliorare le cose perché ti stanno a cuore determinati diritti, lo fai a prescindere da chi sei.

Per quanto riguarda chi ha una certa notorietà, spesso non ci si schiera per paura di essere additati e di poter perdere il consenso delle persone. Diventa difficile anche semplicemente esprimere le proprie idee. Io non credo molto in questa convinzione del ‘sono famoso e quindi devo difendere la mia fama’. Ognuno dovrebbe sentirsi libero di esprimere le proprie idee senza paura, perché nascondersi non serve a nulla. Se senti il bisogno di dire la tua, è giusto che tu lo faccia”.

E quindi tu firmerai per il referendum?

Assolutamente sì. Sembra scontato, visto che parlo di cannabis e di quanta erba fumo quasi in ogni canzone. La cannabis è uno strumento, almeno io la utilizzo così. Mi aiuta a controllare la mia iperattività. Mi sono laureato fumando erba, sarebbe molto bello se fosse legale. Anche perché, purtroppo, l’illegalità fa si che esista un mercato illecito non controllato, peraltro molto vasto. Fumarsi le sostanze tossiche con le quali viene allungata la cannabis nel mercato illecito fa male e purtroppo molta gente non se ne rende nemmeno conto. Per questo servirebbe un mercato lecito e controllato, per garantire ai consumatori un prodotto pulito, sano e genuino”.

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