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Everybody’s dancing at the communist party
È il 1911 e il mondo trema sotto una delle più grandi rivoluzioni della storia. La dinastia Qing, ultima degli imperatori della Cina, termina con l’abdicazione del giovanissimo Puyi, di soli 6 anni. La repubblica di Cina viene proclamata nel 1912.

Ci vorrà un po’ perché il Partito comunista cinese, fondato nel 1921, prenda il controllo della situazione. Che situazione? La rivoluzione aveva lasciato un enorme vuoto di potere, rapidamente colmato dal sorgere di una sorta di casta di signori della guerra.
Qui ci aspetterebbe una lunga parentesi sulle tensioni politiche in Cina, tra Kuomintang e Partito comunista, e le innumerevoli vicissitudini che hanno portato il partito a uscire vincitore, ma a noi interessa altro.

Partiremo direttamente dagli anni 50 e dalla rivoluzione nella musica cinese portata dalla propaganda rivoluzionaria. Venite con Music and Power (o come si direbbe in cinese Yīnyuè yǔ lìliàng) per un ingresso gratuito nel communist party più pervasivo della storia.
In principio era Beethoven
Uno dei primi influssi musicali mutuati dall’occidente per la Cina fu Beethoven. Il compositore, introdotto nel 1906 da Li Shutong con un articolo che titolava ‘il saggio della musica‘, divenne rapidamente un simbolo per il popolo cinese.
La dura vita di Beethoven, che nonostante gli insormontabili ostacoli (come, ad esempio, la sordità già in giovane età) aveva raggiunto l’assoluto successo, era un esempio morale per un popolo che assisteva al collasso di tutte le proprie certezze con la caduta della dinastia Qing.
C’è un detto, che era costume che i genitori cinesi ripetessero ai figli: ‘Chi ku’, che grossomodo significa ‘mandare giù bocconi amari‘. Il modello stoico di Beethoven, che non aveva praticamente fatto altro nella vita, vi si conciliava perfettamente. Il compositore, però, è anzitutto la nostra cartina al tornasole per osservare l’opera della propaganda del partito.
Beethoven sì, Beethoven no
Nel 1927 scoppia la guerra civile per il dominio politico della Cina. In questo periodo, il celebre Mao Zedong è già una figura centrale della trasformazione. Nel 1949 diventa presidente della neoformata Repubblica Popolare Cinese e mantiene il controllo del partito comunista.

Le canzoni rivoluzionarie che avevano fatto da sottofondo alla detronizzazione dei Qing continuano ad essere cantate, assieme a nuove canzoni a favor di partito, ma già nel primo ventennio della dittatura di Mao iniziano a registrarsi alcune variazioni sulla relativa liberà che il mondo musicale aveva fino ad allora goduto.
L’ascolto e l’esecuzione di Beethoven, la cui musica aveva ispirato la rivoluzione del 1911, vengono dichiarate illegali con la ‘rivoluzione culturale’ attuata da Mao tra il 1966 e il 1976. Assieme al compositore, le influenze occidentali, che nel frattempo la Cina post imperiale aveva conosciuto, vengono a loro volta bandite.

Numerosi musicisti cinesi che avevano contribuito alla diffusione di Beethoven vengono impirgionati, torturati o uccisi, molti portando con sé il grande compositore fino alla fine, come Lu Hongen, che si presentò al patibolo canticchiando la ‘Missa Solemnis’.
In communist China music listens to you
Forse tra tutti i contesti nei quali abbiamo parlato di Music and Power, la Cina comunista è dove le cose sono state prese più seriamente. Del resto, quale ambito artistico ha il potenziale di incarnare maggiormente i valori borghesi, acerrimi nemici del partito, quanto la musica?

Per questo motivo, durante la rivoluzione culturale Mao bandí la quasi totalità dei generi di origine occidentale, dal Jazz al Rock ‘n roll. La musica, secondo il presidente, doveva essere permessa in una sola occasione.
Finché essa serve il Popolo Cinese, e l’arte serve la politica.
Mao Zedong sulla musica
Molto presto, la musica occidentale aveva smesso di servire il popolo cinese e si era avviata ad una dinamica evoluzione di stili e generi, principalmente improntati a svago e sperimentazione. Il Rock ‘n roll non era certo il tipo di arte edificante che il partito sperava si diffondesse tra la popolazione.
L’inno alla gioia di piazza Tienanmen
La rivolta di piazza Tienanmen, il massacro di piazza Tienanmen, l’incidente del quattro giugno. Molti nomi sono stati dati alla manifestazione del 1989, diventata famosa nel mondo per l’incredibile violenza scatenata per sedare i moti di protesta. L’esercito sparò sulla folla, facendo centinaia, se non migliaia, di morti. Tra loro c’era Beethoven.


Non l’uomo, chiaramente, ma l’opera. L’inno alla gioia accompagnò i numerosissimi studenti scesi in piazza per protestare contro il capillare controllo del regime.
lo stesso compositore che aveva camminato a fianco della prima rivoluzione cinese, lo stesso bandito dalla rivoluzione culturale di Mao. La storia, capricciosa come una bambina viziata, talvolta è benevola e talvolta malevola con l’eredità dei grandi uomini, secondo il proprio gusto.
Residui musicali dal passato
Le celebrazioni per il centesimo anniversario dalla fondazione del partito comunista cinese si sono tenute proprio nel 2021. In questa occasione, sono state eseguite e trasmesse numerose canzoni patriottiche e politiche legate al partito. Canzoni propagandistiche, alcune anche su Mao stesso, che furono composte e promosse principalmente durante la rivoluzione culturale.

Nel 2011, la campagna ‘canzone rossa’, con centro nell’università di Chongqing, avviò il reclutamento di più di 10.000 studenti per le celebrazioni del novantesimo anniversario. La partecipazione, se si veniva scelti, era pressoché obbligata, al punto che gli studenti chiamavano l’essere selezionati per la ‘red song celebration’, ‘being red songed’.
Sembra incredibile dagli occhi dell’occidente l’esistenza di simili manifestazioni, allo stesso tempo imposte dall’alto eppure così radicate nella storia recente. La storia di un popolo che cerca di scrollarsi di dosso migliaia di anni di passato imperiale, nel nome di un’idea radicale giovane quasi quanto i suoi padri.
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