Un vento di cambiamento
Ribellione, critica sociale, legittimazione di molti taboo culturali. Ma il vento di cambiamento del Sessantotto rivoluzionario non ha soltanto travolto il mondo musicale (per alcuni l’unica cosa evidente), ma è stato un apripista per la nascita di battaglie importanti da parte delle classi sociali più umili e delle minoranze, in un unico grande fenomeno caratterizzato dalla condivisione e dalla rivendicazione dei propri diritti. E la moda?

Inevitabilmente, il Sessantotto ha portato a numerosi mutamenti in ambito culturale e sociale, che hanno spinto poi gli ambiti artistici, come la moda e la musica, ad esprimersi e ad apportare la loro colorata, incensurata ed estrosa firma attraverso nuovi (e talvolta scandalosi) trend. Per strada, le giovani cominciano ad indossare gonne sempre più corte, top scollati e dai colori sgargianti, i ragazzi prendono spunto dalle star del rock&roll internazionali: nascono così nuovi stili, il boho e il glam rock.
I valori cosmopoliti del Sessantotto rivoluzionario
Il movimento del ’68 aveva un carattere internazionale ed internazionalista, policulturale e interclassista, dunque possedeva una grande varietà di componenti.

La grande diffusione giovanile del movimento del Sessantotto rivoluzionario ha prodotto cambiamenti radicali nel costume e nell’ambito musicale sino ad arrivare al modo di vestirsi, nei rapporti interpersonali, come anche nelle preoccupazioni sul futuro.
È per questo motivo che sia nel ’68 italiano, che in quello francese e statunitense, troviamo della contaminazione in tutti quelli che sono i generi artistici sbocciati in quel periodo.
Nuovo modello cantautorale: la canzone di protesta

Non essendoci all’epoca ancora smartphone e tecnologie per documentare come quelle di cui disponiamo oggi, è grazie alle canzoni del cantautorato se adesso è possibile avere un quadro reale e anche talvolta cinicamente sincero su quanto accadeva nel Sessantotto.
Dopotutto, non esiste un periodo storico che non abbia una sua personalissima soundtrack.
Nel caso del ’68 rivoluzionario, sono varie le influenze musicali che appaiono di supporto al clima di protesta, una per ogni collettivo: la musica della contestazione riesce a fotografare in maniera realistica alcuni dei sentimenti, perché no, anche talvolta contrastanti, di chi ha vissuto in prima persona le rivolte.
Con ‘Dio è morto’ di Francesco Guccini o ‘La canzone del Maggio‘ di Fabrizio De Andrè, in Italia comincia l’era della canzone di protesta. Nel nostro Paese, tutto era pronto per accogliere una cultura nuova, poiché quella precedente era, ormai morta. Si dice di no ai moralismi, agli ideali di una vecchia borghesia nei quali i giovani si sentivano costretti e soffocati. Sono canzoni forti, spesso incensurate, che non si curano di dover piacere, ma di rappresentare un inno al futuro.
E se vi siete detti
Canzone del Maggio, Fabrizio De Andrè
non sta succedendo niente,
le fabbriche riapriranno,
arresteranno qualche studente
convinti che fosse un gioco
a cui avremmo giocato poco
provate pure a credevi assolti
siete lo stesso coinvolti
Woodstock, tre giorni di pace, musica e moda
Nell’agosto del 1969, a Woodstock si è tenuto uno dei concerti più massicci ed iconici della storia della musica: un nuovo tipo di comportamento sociale, alternativo, ribelle: convivenza interrazziale, utilizzo di stupefacenti, sesso libero e disprezzo di qualsiasi tipo di convenzione. In quei tre giorni, Janis Joplin si esibisce con ‘Piece of my heart’, Joe Cocker trascina i 500 mila del prato di Bethel, l’attivista e pacifista Joan Baez sale sul palco in dolce attesa e Jimi Hendrix con la sua Fender Stratpcaster suona l’inno americano in versione rock, mentre l’anno prima era stato anche in Italia.

In questo clima spregiudicato, ruggente e senza alcun freno, nasce una nuova esperienza d’abbigliamento, quasi totalmente anarchica, che dirà addio al pudore e alle restrizioni dettate dalla società. La contaminazione un po’ psichedelica negli stili, il denim accostato allo stile hippy (che ora chiamiamo boho), la pelle nuda, le gonne mini e i jeans di pelle animale, si uniscono con l’unico e solo intento di esprimersi, di emanciparsi e urlare a gran voce già con la propria apparenza.
Sarà un punto di non ritorno il ’69, in quanto nei decenni successivi il clima di pace e ambientalismo influenzerà lo stile hippy e figli dei fiori, accostato ad un più violento rock, creando degli staples che ancora oggi nel 2021 abbiamo tutti ancora nell’armadio e che influenzano dei festival della musica più contemporanei, come l’americanissimo Coachella.
Stile Boho e Glam Rock: contaminazione 100% artistica

Lo stile Boho deriva dal francese bohémien, termine utilizzato a partire del XIX secolo per descrivere uno stile di vita non convenzionale di poeti, musicisti e attori messi in disparte dalla società e ormai allo stato di povertà. Seppure il nome abbia un’accezione prevalentemente negativa, in realtà si rifà ad una categoria di consumatori iper-chic che non badano a spese nel loro tentativo di unire la propria esteriorità con i principi etici fondanti come ecologia, rispetto della dignità umana e l’ipercultura artistica.
Lo stile Hippy-Boho è infatti tornato alla ribalta nei primi anni del 2000, con Kate Moss e Lindsay Lohan: le due vengono fotografate mentre indossano delle gonnellone a fiori colorate, cinte in cuoio, gilet ricamati e sandali alla schiava, non passando inosservate al grande pubblico. Ciò che differisce rispetto allo stile puramente hippy anni ’70 è che il boho assume una nota ‘chic’: tutta colpa del glam rock.

Il Glam Rock è caratterizzato da un look colorato e vistoso, ideato dagli esponenti del genere musicale omonimo nato nel Regno Unito e in America durante il periodo di rivolta sessantottina e anche durante il decennio successivo. Il Glam Rock è sinonimo di glitter, tute colorate ed attillate, borchie e colori sgargianti.
Ed è proprio questa influenza rock che ha portato oggi alla coesione dei due stili, connubio che non possiamo non notare ogni qual volta c’è un festival musicale tanto amato dalle Influencers di tutto il mondo.
A che è servito tutto questo?
Nel 2021, in cui ormai i Millennials e la Gen Z (di cui faccio parte io stessa, btw) danno per scontato molti, moltissimi diritti, come se fossero sempre stati lì, alla portata di chiunque, è inevitabile non fermarsi a pensare all’efficacia di tale periodo e a quanto fosse realmente necessario che si urlasse a gran voce la necessità di essere ascoltati, affinché le cose finalmente cambiassero.
Che sia arrivato il momento di imitarli per affrontare nuove questioni? Una cosa è certa: dobbiamo pensare di fare sempre passi in avanti, e non indietro, affinché gli sforzi fatti non siano considerati vani. Il Sessantotto rivoluzionario ci ha reso liberi di vestirci come meglio crediamo, di ascoltare la musica che amiamo, di studiare dove vogliamo e di poter parlare senza essere ripresi. Ora, tocca a noi farlo.
Ev’rybody’s talking about
Revolution, evolution, masturbation
Flagellation, regulation, integrations
Meditations, United Nations
Congratulations
All we are saying is give peace a chanceTutti parlano di
Give Peace a Chance, Plastic Ono Band, John Lennon
Rivoluzione, evoluzione, masturbazione,
Flagellazione, norme, integrazioni,
Meditazioni, Nazioni Unite,
Congratulazioni
Tutto ciò che noi diciamo è: date una possibilità alla pace