L’intento è ciò che fa la differenza
Guerra ed arte, un vero e proprio ossimoro. Due parole apparentemente contrarie possono convivere felicemente nella stessa frase. Un evento orribile ed una cosa meravigliosa. L’una si trasforma nell’altra. Come? Attraverso le immagini. Dure, forti, di impatto, che ritraggono la guerra.
Non accade in modo sempre uguale: si può cercare di mostrarla nella sua cruda realtà, ma da una prospettiva nuova, suscitando emozioni fortissime, ipnotizzanti, trascinanti, commoventi. O tentare di inneggiarla e renderla addirittura sexy, incuriosendo, ammaliando, in alcuni casi addirittura eccitando.
La differenza tra i due metodi sta nell’intento: è l’intento che, come nei rituali magici, fa la differenza tra magia bianca e magia nera. Ed in questo caso la difformità sta tra lo scopo di informare e sensibilizzare attraverso la fotografia della guerra e quello di ‘sponsorizzare’ tramite una modella seminuda che imbraccia un’arma. Vediamo quindi nel dettaglio l’uno e l’altro ‘intento’, distinguiamo così la magia bianca dalla nera.

‘Displaced’, l’antologica di Richard Mosse
Lui si chiama Richard Mosse, classe 1980, ed è un fotografo documentarista concettuale irlandese. Nella sua prima antologica battezzata ‘Displaced’ presenta le sue opere che documentano la guerra nella Repubblica Democratica del Congo orientale. Si tratta di foto realizzate utilizzando una pellicola ad infrarossi a colori. Lo scopo, perfettamente riuscito, è quello di creare una nuova prospettiva sul conflitto.
La mostra promossa dalla Fondazione Mast, è un percorso con un impatto visivo e sonoro straordinario. Una preziosa esperienza resa unica dalla potenza degli stimoli, che palesa, attraverso 77 fotografie di grande formato e 4 video, come sia possibile trasformare la percezione della realtà. Nelle foto non sono rappresentati conflitti o altri momenti culminanti della guerra, ma il dopo, quello che segue, una sorta di prosieguo della guerra stessa.
L‘intento dell’artista è quello di rilanciare la fotografia documentaria, svincolandola dagli stereotipi, sovvertendo le narrazioni mediatiche convenzionali. Lo fa per mezzo di nuove tecnologie che spesso provengono proprio dal mondo militare. Nell’antologia sono esposti i primi lavori di Mosse scattati in Bosnia, Kosovo, nella Striscia di Gaza e lungo la frontiera tra Messico e Stati Uniti.
Si tratta di fotografie caratterizzate dall’assenza quasi totale di figure umane. Nella serie ’Infra’ ambientata in Congo, la pellicola registra la clorofilla presente nella vegetazione e rende visibile l’invisibile. Il risultato è surreale: paesaggi maestosi, gente che trova un riparo provvisorio da un perpetuo conflitto combattuto a colpi di machete e fucili. Si riposa e riprende la perenne fuga.
Richard Mosse e le sue armi
Non sono fucili, ma obiettivi e pellicole le armi che Richard Mosse usa per rappresentare le sue guerre. Una è la Kodak Aerochrome, una pellicola sensibile agli infrarossi che tinge di rosa ogni sfumatura di verde. Non è un caso: durante la Seconda Guerra Mondiale questa pellicola era usata per individuare le tute mimetiche dei soldati nascosti. E con la sua pellicola, Mosse racconta la guerra civile che da anni coinvolge la Repubblica Democratica del Congo. L’intento è quello di rivisitare in maniera del tutto surreale il linguaggio tipico del reportage di guerra. Ci riesce, d’altronde cosa c’è di più surreale della guerra? La mostra è visitabile fino 19 settembre 2021 al Mast, a Bologna in via Speranza 40/42.
“Un giorno anche la guerra s’inchinerà al suono di una chitarra“
Jim Morrison
Le armi delle modelle soldato su TikTok

Sono altre le armi che usano le forze di difesa israeliane nel loro account TikTok: modelle soldato con gambe chilometriche, facce e pose sexy ed armi da fuoco imbracciate. Anche in questo caso la guerra è protagonista delle immagini ed indossa i panni di ragazze seminude che simpatizzano per l’esercito israeliano o soldatesse istraeliane che pullulano sulla pagina TikTok ufficiale e che, tra una posa e l’altra, si divertono a fare lip synch di canzoni note.
L’intento è una pura e mera propaganda nazionalista dell’esercito israeliano che, dobbiamo ammetterlo, eccelle nella comunicazione su internet. I numeri lo dimostrano: l’account TikTok dell’Idf è stato lanciato nel 2020, e ad oggi conta oltre 90mila follower.
Palestina e Israele: lotta a colpi di hashtag
Durante il recente conflitto a Gaza, l‘account TikTok dell’esercito israeliano è stato particolarmente attivo, soprattutto perché brulicava di video di persone che scappavano e di edifici che crollavano sotto i bombardamenti israeliani. Questo non ha portato benefici, anzi, ha portato ad un‘intensa diffusione dell’attivismo pro-Palestina, (l’hashtag freepalestine ha raggiunto ben 6,5 miliardi di visualizzazioni).
La risposta dell’Idf è stata forte, chiara e, lasciatecelo dire, forse un po’ ‘sporca’: l’uscita dei video di soldatesse che ballano armate ed un profilo Instagram delle sexy soldatesse con un nome che è tutto un programma ‘Hot israeli army girls‘ e che conta oltre 95 mila follower. Seppur Israele con questa risposta abbia certamente giocato su un altro piano, sorprende che l’obiettivo non sia quello di portare numeri pro-Israele. Lo scopo è quello di attirare, disorientare, spostare l’attenzione e, soprattutto, coinvolgere chi non è (ancora) simpatizzante o chi, peggio, è pro-Palestina.
E, seppur in termini di diffusione di contenuti di solidarietà tra le due cause, la Palestina non tema confronti, sono davvero tante (troppe) le persone che apprezzano il patriottismo sionista delle modelle soldato seminude armate di fucile.
Foto di Richard Mosse vs Modelle armate su TikTok
Quindi? Cosa hanno in comune due eventi così diversi? Il filone denominatore è lei, la guerra. In un caso mostrata sotto una prospettiva nuova, commovente, strabiliante, in un altro usata a scopi propagandistici in modo sfacciato, quasi irrispettoso. Ma sono altri gli elementi comuni tra le due rappresentazioni così diverse. In entrambi i casi, per parlare di guerra, non sono stati rappresentati momenti del conflitto: non ci sono scene di battaglia, né momenti clou dello scontro.
Altro punto in comune sono gli strumenti usati: ambedue ‘di guerra’. Nel caso di Richard Mosse si tratta di una pellicola che veniva utilizzata per stanare i nemici, nel caso delle forze di difesa israeliane di armi da fuoco ed abiti militari.
Dove sono le differenze? Sostanzialmente nell’intento. E qui gli intenti sono ben diversi. Ross vuole mostrarci la guerra toccando le corde di vista, udito e cuore, senza sfiorare l’argomento fazioni. Nelle sue foto ci presenta quel che resta, cosa rimane e come rimane. L’Idf, invece, desidera renderci quasi partecipi alla guerra, tramutarci in ignari tifosi di una fazione piuttosto che di un’altra, di influenzare le nostre idee. Lo fa con l’inganno, travestendo la guerra con capelli biondi e gambe chilometriche. E ci riesce, visti i numeri.
Noi continuiamo comunque a preferire le fotografie di Richard Mosse. Per noi vince la pellicola che tinge di rosa la guerra senza farcela sembrare meno crudele di quello che sia!