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“Mmh questo sembra interessante”

Esistono due tipologie di ‘serial watchers’: al primo tipo appartengono quelli che entrano sulle piattaforme streaming e sfogliano il catalogo, lasciandosi ispirare dai colori della locandina, dal titolo accattivante o dalla descrizione. Certo, poi c’è sempre quella percentuale di compatibilità che, non appena supera il 90%, ci attira e ci frega irrimediabilmente: vai col tasto ‘play’, attenuando quell’ansia infinita da scelta della giusta serie tv, sperando di aver scelto bene “che se poi non mi piace, mi scoccia pure dover interrompere e sceglierne un’altra!”.
Al secondo gruppo, invece, appartengono quelli più focalizzati, che vanno alla ricerca di quella specifica serie tv sapendo dove, come e quando trovarla.
‘Squid Game’, il nuovo gioiellino di casa Netflix, è una di quelle serie che è riuscita a monopolizzare entrambi i gruppi di watchers. Spuntata sul catalogo all’improvviso, in sordina, si è fatta notare subito tra i tanti titoli, con l’impatto visivo di chi è consapevole del ruolo fondamentale della potenza delle immagini: figure in tute rosso-magenta (sarà casuale questa scelta, che tanto ci riporta alla mente un’altra iconica tuta?) che indossano maschere marchiate da triangoli, quadrati e cerchi e un gruppo di persone con divise numerate come fossero pedine di un gioco.
Sintesi di quello che ci aspetta
Potrebbe sembrare superfluo spendere parole sulla trama, ma un piccolo riassunto è comunque doveroso.
Squid Game (letteralmente ‘il gioco del calamaro’) è ambientato in Corea del Sud. Protagonista è Seong Gi-Hun (Lee Jung-jae), un uomo la cui vita è allo sbando: divorziato, vive sulle spalle dell’anziana madre e passa il tempo scommettendo sui cavalli e sfuggendo agli usurai.
Un giorno, in metropolitana, viene avvicinato da un uomo in giacca e cravatta (Gong Yoo) che lo mette alla prova con un semplice gioco, e gli fornisce un biglietto da visita sui cui è scritto un numero di telefono. La proposta è allettante: partecipare ad un gioco con un montepremi in denaro.
Gi-Hun si ritroverà ben presto all’interno di in una location misteriosa con centinaia di altre persone. I concorrenti faranno la conoscenza di un gruppo di figure in tuta rossa e maschera nera, pronte ad allestire gli spazi dei vari round del gioco, tutti ispirati ai giochi dell’infanzia. Fin dall’inizio, però, si capisce che non si tratta di una gara qualsiasi: chi perde o non rispetta le regole, infatti, verrà eliminato all’istante.
Breve storia di un fenomeno internazionale
Chi non ne avesse mai sentito parlare, probabilmente è un eremita o ha vissuto le ultime settimane con i social in down. Come ogni fenomeno mediatico, ‘Squid Game’ ha difatti invaso social e siti vari con video, meme e citazioni che nel giro di due settimane hanno incuriosito anche i più scettici e restii: in fondo sono solo 9 episodi!
Scritta e diretta da Dong-Hyuk Hwang, ‘Squid Game’ è la serie coreana che, grazie al passaparola, sta diventando un vero e proprio fenomeno internazionale, candidandosi a diventare la serie tv non in lingua inglese più vista di sempre sulla piattaforma streaming. La conferma ufficiale si avrà solo a metà ottobre, quando saranno passati 28 giorni, periodo che Netflix utilizza per calcolare la popolarità di una propria produzione.
Non solo: ‘Squid Game’ potrebbe diventare in assoluto la serie tv di Netflix più vista di sempre, superando ‘Bridgerton’, ‘The Witcher‘ e ‘Lupin’, che ad oggi occupano il podio di serie originali con il maggior numero di visualizzazioni ottenute. Insomma, ‘Casa di carta’ fatti da parte!
Il numero della serie esiste davvero!

Non ancora convinti del successo? Per capirne le proporzioni, basta leggere in rete le notizie riguardanti le ripercussioni del ‘Gioco del calamaro’ nella vita reale.
Come accadde per ‘Lost’ un po’ di anni fa, anche qui c’è un’altra serie di numeri che ha fatto impazzire i fan: si tratta del numero telefonico presente sul biglietto da visita visto negli episodi, da chiamare per poter diventare effettivi concorrenti del gioco. Ebbene, tantissimi fan si sono fatti suggestionare dalla storia raccontata al punto da provare a chiamare il numero mostrato, facendo una scoperta tanto adrenalinica quanto inquietante: il numero esiste davvero e funziona. Tuttavia, corrisponde al contatto telefonico di un 40enne, originario di Gyenoggi (provincia della Corea del Sud) che si è ritrovato sul suo telefono miliardi di telefonate da parte dei fan della serie Netflix.
Un bombardamento di circa 4mila chiamate al giorno, da parte di adulti ma anche di bambini. A rivelare allo sfortunato uomo che il suo numero era lo stesso di quello dello ‘Squid Game’ è stato, poi, un suo amico che, avendo visto la serie Netflix, aveva notato questa incredibile coincidenza. Oggi, la piattaforma di streaming, dispiaciuta dell’accaduto, sta cercando di risarcire l’uomo in qualche modo.
“Un due tre… stai là!” in real life
Sì, tutti quanti sappiamo che il titolo originale non è quello e che la stella non c’entra nulla. La verità è che ci piace così e non ci va di cambiare le nostre abitudini ben radicate da bambini. Prepariamoci, comunque, ad essere invasi dal ritorno dei giochi (vintage) coreani, con annessi TikTok da tutto il mondo da parte di ragazzini e adulti intenti a sfidarsi ad ‘un due tre stella!’. Chi volesse approfondire, in rete si trovano molto facilmente le regole dei vari giochi visti nella serie. Ed è possibile anche incontrare la bambola assassina gigante!
Chi invece volesse partecipare agli ‘Squid Game’, senza tuttavia mettere sul piatto la propria vita, può unirsi a ‘Roblox‘ e tirare un sospiro di sollievo.
C’è chi invece, dopo aver visto la serie, è stato colto da una irrefrenabile voglia di farsi schiaffeggiare da Gong Yoo.
Se l’attore, tuttavia, non dovesse essere disponibile e, allo stesso tempo, proprio non riuscite a resistere alla voglia di farvi schiaffeggiare da un passante per vincere un premio in denaro, sappiate che lo youtuber Jimmy Zhang ha pensato anche a questo.
Un solo modo per vincere la vita
Il tema fondamentale che ‘Squid Game’ mette in evidenza nella sua storia è chiaro a tutti: le diseguaglianze sociali sono ancora presenti nel mondo di oggi e il denaro resta l’ago della bilancia per misurare la libertà di una persona.
La stessa società capitalistica moderna è un’allegoria della vita, una vera e propria gara estremizzata dove c’è da correre, superare ostacoli e battere la concorrenza. Un elogio alla forza, alla produttività, all’utilità della violenza e l’inutilità del debole. Chi arriva primo ha raggiunto il suo effimero scopo, ed è salvo. Chi rimane indietro, è destinato ad essere eliminato (letteralmente) da quella stessa società.
I 456 concorrenti di questo gioco al massacro hanno tutti una cosa in comune: vivono ai margini della società. Sono disperati, privi di possibilità economiche. Il posto in cui si sono risvegliati, però, promette loro che da quel momento in poi le cose cambieranno: un premio in denaro così alto da renderli, finalmente, ricchi (e felici?).
Non così facile a dirsi, poiché dovranno uscire vincenti, loro che sono dei vinti dalla vita. Il prezzo da pagare è uno soltanto: la propria vita. Prezzo inarrivabile per alcuni, ma non così proibitivo per altri.
Ed è così che ‘Squid Game’ inizia ufficialmente la sua narrazione con l’obiettivo di dimostrare cosa si è disposti a perdere pur di riuscire a uscire dalla disperazione. Fin dove l’animo umano può spingersi in onore di quello che è, in fin dei conti, il denaro. Esseri umani, con una coscienza e una morale, arrivano a perdere ciò che li rende tali diventando assassini, vigliacchi e traditori.
Pastello, il colore degli incubi

La creatività della serie va ricercata soprattutto a partire dalle scenografie, semplici ed inquietanti allo stesso tempo. Luoghi familiari, parchi giochi, troppo innocenti per non far percepire a chiunque macabre intenzioni nascoste.
Questo forte quanto sgradevole accostamento tra giochi per bambini, omicidi e vecchie filastrocche, costruisce un universo che spaventa e affascina lo spettatore. Lo schermo si riempie di schizzi rosso sangue che imbrattano i luoghi e gli oggetti comunemente associati alla purezza e all’infanzia (come lo scivolo di un parco giochi).
Mentre si affrontano le diverse prove, tutte ispirate ad alcuni tra i più celebri giochi per bambini (un, due, tre stella, l’uomo con l’ombrello, tiro alla fune, le biglie, il gioco del calamaro), le ambientazioni oniriche color pastello richiamano volutamente i ricordi dei giocatori e degli spettatori, che vengono spiazzati dalle impietose esecuzioni messe in scena. I giochi vengono riesumati così come l’infanzia dei vari protagonisti. Niente nostalgia o tenerezza: su tutto regna un senso di inquietudine.
Una serie con tanti punti di forza
Se ‘Squid Game’ è riuscita a tenere con il fiato sospeso milioni di spettatori, lo deve ad una trama coinvolgente, ricca di elementi distopici e colpi di scena (quasi) mai banali.
Grazie anche ad un’ottima costruzione del ritmo e della tensione, è una serie che funziona dal primo episodio perché parte da un presupposto davvero interessante: ti obbliga a domandarti come avresti reagito, cosa avresti fatto, cosa saresti disposto ad accettare pur di poter cambiare la tua vita.
La violenza è presente in tutta la sua essenza, mai volgare e sempre ingiudicabile, come un corpo a se stante: non esiste alcuna denuncia contro i crimini, la maggior parte dei concorrenti non si scandalizza più di tanto e, se ci si lascia contagiare da quella stessa violenza, non c’è rischio di venire giudicati. Tutto viene visto nell’ottica della sopravvivenza.
Anche quando vengono messi di fronte alla dura realtà dei fatti e alla brutale carneficina, lo sguardo di quasi tutti i giocatori è comunque puntato verso l’alto, sul lucente salvadanaio di vetro che continua a riempirsi di soldi. Per un montepremi di 45,6 miliardi di won coreani, tutti sembrano essere disposti a mettere in gioco la loro vita.
456 personaggi in cerca d’azione
Tra grandi e inaspettati colpi di scena, tradimenti e momenti toccanti (stavolta anche gli sceneggiatori americani hanno qualche appunto da prendere), la scrittura dei personaggi si rivela un altro punto di forza della serie. Con il passare degli episodi cominciamo a conoscere le storie e le personalità dei vari concorrenti. Ognuno di loro ha una caratterizzazione e un ruolo talmente definito e ben inserito nella trama da non poter essere sostituito o cambiato con nessun altro (sfido chiunque a non prendere in simpatia il caro vecchietto, interpretato da Oh Yeong-su)
Noi spettatori assistiamo a tutti i giochi, a tutte le strategie che i protagonisti elaborano per superare la sfida di turno, arrivando anche a tifare per loro. Diventiamo a tutti gli effetti un doppio pubblico: per la storia per le sfide.
‘Squid Game’ non avrebbe avuto il successo che ha raggiunto se non avesse messo in campo dei personaggi per cui tifare e con cui entrare in empatia.
Il viaggio dell’anti-eroe

Personaggio emblematico, a tal riguardo, è proprio il protagonista Gi-Hun (Lee Jung-jae). Quando la serie inizia, è un uomo debole, vigliacco e detestabile, che approfitta fin troppo della disponibilità della madre. Un personaggio con cui abbiamo difficoltà ad empatizzare, a tratti fastidioso, che non riesce a convincerci.
Pian piano però iniziamo a sentirci sempre più vicini, tanto da arrivare a vedere Gi-Hun come il classico eroe delle storie: ogni sfida rappresenta un nuovo tassello nella riscoperta di se stesso e delle proprie capacità.
Finché non arriviamo ad un ennesimo ribaltone, che ci riporta ad una realtà fatta non più di eroi, ma di puro istinto di sopravvivenza.
La felicità potrebbe mai manifestarsi grazie ad una valigia piena di soldi? Se anche dovesse riuscire nel gioco, quali conseguenze potrebbero derivarne?
Tanto rumore, ma è davvero così eccezionale?
Occore prima di tutto fare alcune considerazioni. L’idea alla base della serie tv non è così originale, poiché deve molto a prodotti che l’hanno preceduta (e che troverete qualche rigo più in basso). Le classiche caratteristiche dei ‘battle royale’, in cui le persone sono costrette a uccidersi a vicenda per ottenere un qualcosa, non è una novità. Ovviamente c’è da dire che in questi caso il modo in cui viene gestita la spietata competizione fa certamente la differenza, e che l’originalità non sempre basta, da sola, a decretare il successo di una serie.
Anche il discorso sul presentare in un modo particolare il tema delle diseguaglianze sociali viene ripreso da ‘Parasite‘, il gioiello cinematografico coreano che, con una storia del tutto particolare, aveva presentato il divario oggettivo tra ricchi e poveri e il senso del limite che ogni essere umano può sacrificare pur di uscire fuori dalla propria disperazione.
‘Squid Game’ si appropria dello stesso obiettivo narrativo riuscendo ugualmente nell’intento, con una storia coraggiosa e un’identità forte, sviscerata su più puntate, alcune delle quali caratterizzate da un approccio decisamente troppo lento rispetto alle altre.
La risposta, quindi, alla domanda inziale (senza troppi giri di parole) è no. ‘Squid Game’ è una serie interessante, coinvolgente e fatta bene, ma nulla di trascendentale. Motivo per cui, in fin dei conti, il suo così grande successo non è pienamente giustificato e, come spesso accade, i giganteschi polveroni che queste serie tv riescono a sollevare bastano da soli ad autoalimentare l’onda che le serie stesse continueranno a cavalcare.
Attenzione però, non è una serie da bocciare, anzi: ‘Squid Game’ funziona alla perfezione, ed ha la capacità di creare una tensione sempre crescente che spinge lo spettatore a divorare la serie, nonostante i quasi 60 minuti di durata di ciascun episodio.
“Compatibilità del 90% e oltre!”
Come detto precedentemente, questa serie tv Netflix ricorda una serie di prodotti che l’hanno preceduta. Tralasciando i facili accostamenti cinematografici con i deatmatch di ‘Hunger games’, i misteri di ‘The cube’ o il forte senso di straniamento di ‘Old Boy’, eccone alcuni molto interessanti, a cui vale la pena dare un’occhiata: compatibilità molto alta in vista!
Da menzionare assolutamente, soprattutto se si è in astinenza da ‘Squid Game’ è ‘As the Gods Will’, film diretto da Takashi Miike e basato sull’omonimo manga.
Uno studente liceale, in un giorno apparentemente normale, assiste all’esplosione della testa del suo professore. Al posto dell’uomo appare una specie di bambola che costringerà il ragazzo e i suoi compagni di scuola a giocare a un gioco che si chiama ‘Daruma ga koronda‘, (si, di nuovo il nostro Un, due, tre stella!, il popolo orientale deve esserne davvero affascinato!). Chiunque perda al gioco verrà immediatamente ucciso.
Tratto dall’omonimo romanzo (di Koushun Takami) è invece ‘Battle Royale’, film che racconta la storia di un gruppo di liceali che viene costretto dalle forze governative a partecipare a un gioco mortale, istituito dallo stesso governo per combattere l’emergere di una criminalità giovanile sempre più violenta e difficile da contenere.
Volendo spostarci su contorni più fantasy, ‘The werewolf game’ ruota intorno a dieci liceali che vengono rapiti da un uomo misterioso che li chiude in una stanza per farli giocare a ‘Jinro’ (termine che indica i lupi mannari). Il gioco consiste nell’individuare i due lupi mannari che si nascondono nel villaggio prima che questi divorino e uccidano tutti gli abitanti e, dunque, gli altri giocatori. Il tutto prima dell’alba, altrimenti tutti perderanno la vita.
La lista è ancora lunga: in ‘Alice in Borderland’, death game in otto episodi targato Netflix, i protagonisti si ritrovano intrappolati in un videogioco mortale; con ‘GantZ’, il death game horror-fantascientifico tratto dalle storie di Hiroya Oku , arriviamo a toccare la pietra miliare del genere; in ‘Last One standing‘, prima serie con la quale la Cina si è cimentata con il genere, i personaggi vengono spazzati via da un gioco sadico che potrebbe rivelarsi un esperimento ancor più crudele.
Squid Game 2, qualche anticipazione

‘Squid Game’ si sta imponendo nel mondo seriale italiano e internazionale con una forza esplosiva e sono in tanti a chiedersi se avrà una seconda stagione. ‘Squid Game 2’, quindi, ci sarà? Netflix deciderà di puntare sul continuo di questo titolo coreano? La stagione si conclude con un finale aperto, lasciando spazio a un possibile continuo della serie che potrebbe approfondire le diverse questioni irrisolte.
Naturalmente ‘Squid Game’, uscita solo due settimane fa, non è stata ancora rinnovata per una seconda stagione. Ma i numeri e le premesse sono promettenti tanto che il co-CEO di Netflix, Ted Sarandos, non ha esitato a definirla “potenzialmente la nostra serie più popolare di sempre“.
Parlando con ‘Variety‘, il regista e creatore Hwang Dong-hyuk ha definito il processo di realizzazione della serie “lungo e stressante” e ha ammesso che per il momento non ha intenzione di rimettersi su un lavoro del genere in tempi brevi e che vorrebbe, piuttosto, realizzare dei lungometraggi. Non esclude, tuttavia, la possibilità di una seconda stagione “a determinate condizioni”.
Non ho piani ben sviluppati per Squid Game 2. È abbastanza stancante solo a pensarci. Ma se dovessi farlo, di certo non lo farei da solo. Prenderei in considerazione l’utilizzo di una writer’s room e vorrei poter contare su più registi esperti
Hwang Dong-hyuk
Piccoli momenti di inestimabile valore
Al di là della riflessione sul valore dei soldi e sulla labilità della mente e della coscienza umana, ‘Squid Game’ fa qualcosa di altrettanto importante: ci fa aprire gli occhi sulla vita adulta, spesso privata dei sogni, dei giochi, del divertimento e della condivisione.
Una vita in cui progressivamente scompare quel senso di appartenenza, che finisce per essere destinato solo ai bambini. Non a caso, il gioco stesso ‘Squid Game’ tenta di riportare i concorrenti ad un’infanzia dimenticata, utilizzando gli stessi giochi fatti con gli amici in un lontano passato.
Gli adulti della serie tv si ritrovano riuniti in una stanza, a dormire, mangiare e giocare tutti insieme, come un campo estivo o “come durante il militare”, come lo stesso Gi-Hun afferma nella serie.
Tutto questo finisce per essere un modo di tornare a costruire rapporti umani, in quel mondo degli adulti che sono fin troppo impegnati ad inseguire carriera, fama, denaro, per concedersi piccoli momenti di misero e inestimabile valore: quelle emozioni condivise, effimere ma eterne.
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