Don Joe

Il nuovo album di Don Joe, ‘Milano Soprano’, dai 90’s a oggi

I 24 rapper che si godono le produzioni fotoniche di Don Joe

di Pietro Botarelli

Icone storiche ed intramontabili

Club Dogo
Club Dogo

Il rap non si ferma mai, c’è sempre spazio per un po’ di rime di qualità e il nuovo album di Don Joe ne è la conferma. Disc jockey, produttore e rapper, una delle figure più importanti nella scena italiana. Fin dagli anni ’90 si afferma come ingegnere dei suoni, insieme a Dj Shocca e Shablo, ma la sua carriera musicale spicca il volo a partire dal 2002, anno nel quale Don Joe fonda i Club Dogo, insieme a Gue Pequeno e Jake la Furia. Dall’unione di questi tre giganti, nascono due degli album rap più valorosi degli anni 2000: ‘Mi fist’ e ‘Penna Capitale’, che lanciano ufficialmente i Club Dogo verso un successo intramontabile.

Oggi il gruppo non esiste più e i tre ex fondatori dei Club Dogo portano avanti le proprie carriere musicali da solisti. Gue Pequeno è costantemente in vetta nelle classifiche da anni. Nonostante nei tempi più recenti abbia fatto uscire trappate poco significative in quanto a rime e spessore linguistico, resta un’icona del rap italiano. Jake la Furia, dopo un periodo di confusionarie scelte musicali, fatte di reggaeton e canzoni da spiaggia che si faticava a credere scritte da lui, sembra essere tornato a rappare. E Don Joe?

Don Joe, una calamita hardcore

Don Joe
Artwork di Milano Soprano

In questi anni non ha mai smesso di sfornare produzioni di alto rango e qualche giorno fa, il 9 luglio, ha fatto uscire un album, ‘Milano Soprano’, interamente prodotto da lui, che racconta le strade di Milano con la stoffa hardcore che lo ha sempre contraddistinto, grazie al contributo di ben 24 rapper. 16 tracce che miscelano perfettamente la musica rap a quella elettronica, la firma è la sua: Don Joe. La prima traccia s’intitola ‘Big Checks’, una base rap cattiva ma melodica (il sample è Represent di Nas), impreziosita dalle rime di Jake la Furia e Shiva. Il titolo, che in italiano sta per grossi assegni, rispecchia appunto l’argomento cardine della canzone.

Sono Luciano Liboni, da solo contro tutti
Sono il solista del micro, frate Luciano Lutri
E se è vero che il vero riconosce il vero
In mezzo a questi rapper ne conosco zero

Big Checks, Jake La Furia

Ormai i soldi, la fama e il successo sono parte integrante della musica rap, Jake la Furia e Shiva lo sanno bene. In questa canzone ne parlano in chiave retorica, proponendo un’interpretazione del successo senz’altro autocelebrativa ma ricordandoci l’importanza di rimanere se stessi, sfuggendo, anzi, affrontando di petto, il rischio di una spersonalizzazione causata dall’onda travolgente della fama. Jake, nella prima strofa, ci racconta alcune delle sue storie di strada, contrapponendosi per trasparenza alla maggior parte della scena italiana. E Shiva? Linee melodiche da brividi, flow e incastri da 10 e lode, sarebbe uno dei più forti della scena, peccato che troppo spesso scivoli nel banale.

‘Desert Eagle’, appello agli ascoltatori

La terza traccia s’intitola ‘Desert eagle’. La produzione di Don Joe suona come una vera e propria marcia trionfale, kick e bassi miscelati in stile trap che farebbero muovere il collo anche quando ti svegli la mattina con la cervicale distrutta. Quali migliori strofe se non quelle di Sacky e Gue Pequeno per valorizzare un beat così aggressivo e tamarro? Il diciannovenne Sacky ci porta alla scoperta della sua vita di strada come una guida turistica che ha preso qualche caffè di troppo. Da citare un verso piuttosto evocativo: “ho un piede nel bene e l’altro nel traffico”.

Sacky utilizza, in questo caso, una metonimia per descrivere l’oscillazione della sua vita tra bene e male (in questo caso sostituito e rappresentato dal traffico).

Traffico di strada? Di stupefacenti? In ogni caso si riferisce al male, e sarebbe importante interpretare queste allusioni come una denuncia sociale di situazioni spiacevoli, piuttosto che un motivo di vanto o un pretesto in più per spaccare (mi raccomando ascoltatori, questo dipende da noi!). Il ritornello è cantato prima con una voce profonda, bassa e quasi grattata, poi si apre, si alza come un grido di battaglia, dandoci la giusta carica per la strofa monumentale di Gue Pequeno. Riferimenti a Lucio Battisti, droghe varie, Confucio e Canelo. Gue si conferma tamarro e non troppo attento all’etica, ci strappa un sorriso e ci ricorda di avere flow e rime a bizzeffe.

‘Kandinsky’, lo squarcio dell’artista

Kandinsky
Opera di Kandinsky

La quarta traccia è molto introspettiva, versi che mettono a nudo la vena maledetta, malinconica e ossessiva degli artisti. Non a caso s’intitola ‘Kandinsky’, chiaro riferimento a Vasilij Kandinsky, artista russo che ha fatto la storia della pittura astratta. Ossessionato dalla musica, concepiva i colori come componenti di un coro da rappresentare sulla tela. Un’anima profonda e squarciata dai flussi dell’arte, un successo esponenziale che, come sempre, mette a dura prova la pura essenza di sé, confondendo e sovrapponendo l’arte alla persona. Ma d’altronde questa è la specialità degli artisti, concretizzare in suoni, dipinti o scritti, flussi di coscienza vitali dalle correnti tempestose.

Guardo il soffitto, conosco tutti i suoi dettagli
E più mi ci specchio più nelle sue crepe rivedo i miei sbagli
Non c’è gravità
Fluttuo insieme ai miei ricordi e problemi

Kandinsky, Rose Villain

Don Joe inserisce nel beat una melodia di chitarra acuta, che oscilla tra dolcezza e sofferenza. Il ritornello di Rose Villain è un elogio doloroso alla solitudine dell’artista con un velo di tristezza che desta una curiosità travolgente. La prima strofa è di Ernia. Il rapper milanese si descrive attraverso una voce narrante che assume le sembianze di un alter-ego. Bellissime metafore tra dubbi esistenziali, domande e giudizi retorici, echi di morte e odio sorretti dalle spalle larghe di chi ha una grande fiducia in sé, nonostante, a volte, non sia per nulla facile. E la seconda strofa di Rose Villain? Altrettanto spessore artistico, tra pensieri alla rinfusa, sguardi fissi sul soffitto e una richiesta particolare: al funerale metti ‘Nevermind.

Schiaffi alla rinfusa

La sesta e la settima traccia, intitolate rispettivamente ‘Bandito‘ e ‘Dogo gang bang’, sono due manate in faccia alla scena italiana. Lo scenario di strada gioca il ruolo da padrone, due beat aggressivi e metallici con dei bassi incalzanti e crudi come le rime dei prescelti che ci rappano sopra. Emis Killa e Paky, in ‘Bandito’, danno continuità alle loro penne vere e prive di freni inibitori. La strofa di Emis Killa, per i temi e la fotta con la quale li descrive, ricorda molto ’17’, il suo album in collaborazione con Jake la Furia, uscito a settembre dell’anno scorso.

Paky si dimostra ancora una volta uno dei più veri tra le nuove leve, raccontandoci vissuti di strada duri da digerire, in quanto spaventosamente credibili.

‘Dogo Gang Bang’ è un elogio alla storia del rap milanese, una reunion, non completa, della Dogo Gang, il collettivo hip hop nato nel 2003. Don Joe chiama Emi lo Zio, Ted Bee, Vincenzo Da Via Anfossi e Caneda, tutti insieme in un’unica traccia, una strofa a testa che basta e avanza per delineare e ricordare la loro padronanza dell’hardcore. Vietato ai minori di 18 anni? Forse si ma non importa tanto l’età quanto più la sensibilità dell’ascoltatore. Ci tengo a ribadirlo, da amante dell’hardcore: il rap è uno sfogo per chi lo fa e per chi lo ascolta ma la vita di strada non è per tutti, per fortuna.

‘Guerriero‘, in battaglia con se stessi

walking

È vero, non saranno tutti nella stessa traccia, ma con l’ottavo pezzo del disco la reunion della Dogo Gang è compiuta. Ecco infatti Marracash, insieme a Venerus, in una traccia, ‘Guerriero‘, dalla linea tematica spezzata in due, divisa tra narrativa di quartiere e introspezione. Versi pesanti ed emotivi, attuali e di background. Marracash il ‘guerriero‘, come il titolo della canzone, descrive il successo e il lusso che contraddistinguono la vita di chi ha vinto tanto ma vuole continuare a farlo. Un’attitudine sempre hardcore quella del rapper siciliano, maturata molto nel corso degli anni.

Dietro la vita di strada, apparentemente sfacciata e che lascia poco spazio ai sentimentalismi, c’è comunque la sensibilità di un essere umano, fatta di emozioni, dubbi e insicurezze.

Siamo quelli che non servono alla legge
Quindi non osservano la legge
Che è uguale per tutti, è scritto dietro al giudicе
Sembra che così lui non lo leggе

Guerriero, Marracash

Marracash è un esempio di chi ce l’ha fatta, nonostante tutto, a trasformare rabbia e disagio esistenziali in musica, in arte, in rime che hanno come obiettivo primario quello di salvare se stessi e gli altri. Uno scambio reciproco di storie di vita ed emozioni, una salvezza, un appiglio per il cantante e per gli ascoltatori. Venerus, nel ritornello e nella seconda strofa, riprende perfettamente questo dualismo di emozioni, descrivendo se stesso in terza persona, come un uomo che comprende, accetta e sfrutta il suo dolore per farsi onore. Perdersi (non per scelta?) per ritrovarsi, battaglie vinte e battaglie perse, entrambe sono parte di te, di ciò che sei.

Nuove leve dalla strada

167gang

Per esigenze di lunghezza dell’articolo e per i temi trattati, possiamo riassumere la decima e la undicesima traccia, intitolate rispettivamente ‘Banlieue‘ e ‘Giungla‘, con due parole piuttosto significative: riscatto e rispetto. La base di ‘Banlieue’ è più combattiva e irruenta, segue un ritmo trap incalzante. Il duo 167 gang parla di temi che restano in linea con lo stile hardcore del disco. I due ragazzi, dopo un passato di strada, hanno deciso di dedicarsi alla musica per costruirsi un futuro migliore (si spera), e questo gli fa onore.

La base di ‘Giungla’ è invece meno impetuosa e battagliera, si diversifica dalle altre per un’inclinazione sonora tendente alla dance. Suoni molto elettronici, prima smorzati e poi lasciati liberi di scorrere, si adattano perfettamente al setting della giungla, che in questo caso è una metafora per descrivere la vita di Philip e Il Ghost. L’autotune è molto spinto nel ritornello, meno nelle strofe. In ogni caso, altre due tracce fenomenali, musicalmente parlando. Il lavoro di Don Joe, ancora una volta, è di altissima qualità.

Intrecci tra 13 e 15

Le traccia numero 13, ‘Prima o poi‘, è una vera e propria chicca di Don Joe. La produzione è un intreccio di suoni hip hop old school e trap moderna. Alterna momenti intensi e colmi di suoni ad altri più distesi, fatti di stacchi melodici conditi alla perfezione dalla musicalità e l’intonazione prima di Silent Bob e poi di Jack the Smoker. Silent Bob è un nome fresco nella scena Italiana e si sta dimostrando un ragazzo con una grande dote, ossia quella di raccontare in rima le sue storie di vita, piuttosto singolari e difficili, con una narrativa molto metaforica che gli permette di avere un pubblico piuttosto variegato.

Ed è un mazziere furbo che ti serve sempre un asso
Ma tranquillo che alla fine vince sempre il banco
Nella rissa vince sempre il branco
Italia anti-razzista, però in tribunale vince sempre il bianco

Jackpot, J-Ax

Saper catturare le emozioni di persone con dei vissuti del tutto diversi dai tuoi significa essere un poeta, uno scrittore in rima… e sa pure cantare! Complimenti a Silent Bob. Jack the Smoker è un veterano della scena rap Italiana, storico membro della Machete Empire Records, da anni mantiene alto il livello delle rime, tra citazioni, sprazzi di sé e un lessico invidiabile. Questa traccia è affiancabile alla numero 15 per gli intrecci proposti, sonori e artistici. S’intitola ‘Jackpot‘, con J-Ax, Coma-Cose & Miss Keta, vecchia più nuova scuola. Don Joe miscela suoni reggae, hip hop, pop, ma sembra inutile, qui, parlare di generi musicali. Critica sociale, ironia velata e attualità: la penna di J-Ax si fa sentire.

Il ‘Piccolo Principe‘ o Paul Verlaine?

Verlaine
Paul Verlaine

La quattordicesima traccia, intitolata ‘Piccolo Principe‘, sembra essere il punto d’intersezione tra le linee tematiche di due canzoni analizzate in precedenza: ‘Kandinsky’ e ‘Guerriero’. Di ‘Kandinsky’ ritroviamo la melodia malinconica e l’atmosfera del poeta maledetto, isolato dall’arte nei suoi pensieri autodistruttivi ma estremamente proficui, come un’ispirazione che richiede un certo prezzo da pagare. Di ‘Guerriero’ invece ci ricorda la fotta e la contrapposizione tra le ferite del passato e le apparenti bende del presente. La prima strofa di Massimo Pericolo mischia una buona dose di sfacciataggine con un’introspezione emotiva che lo porta a formulare domande retoriche sulla direzione della sua vita.

La strada del successo riesce ancora a soddisfarlo, nella speranza, forse, di continuare a dare qualcosa a tutti i fan che si rispecchiano nelle sue canzoni. Ci lascia tuttavia intendere una sensazione di smarrimento tipica di chi naviga nei grandi numeri. A Nerissima Serpe spetta la seconda strofa, il suo timbro vocale sembra davvero perfetto per la produzione di Don Joe: quel velo di tristezza trasmesso dai suoni è parte integrante della sua voce, che suona come un lamento di un guerriero (come Marracash, appunto). Un’eco amorosa fa da sfondo, come se Nerissima Serpe, forse a causa delle esperienze passate, cercasse di amare ma senza riuscirci.

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