Hal Quartièr e il ritorno al vintage
Mai come al giorno d’oggi, il revival e il vintage rappresentano una chiave d’accesso preferenziale al panorama pop contemporaneo. Non fa eccezione lo stile musicale di Hal Quartièr, emergente classe 1997, che, tendenzialmente, fonde la trap e il rapcore con le sonorità classiche del synth pop degli anni ’80 (se ami questo genere ECCO dove devi andare). Un cantato sottile, acuto, come sempre corredato da una generosa dose di autotune, e un tappeto percussivo che oscilla tra le classiche batterie trap e qualcosa di più hardcore, incontra le romantiche melodie di chitarra e sintetizzatore tipiche della new wave.

Se nel caso del brano “4everyoung”, release estiva dell’artista di Bagnoli (Napoli), era evidente una certa attenzione nel creare un buon mix di sonorità che, a partire degli Alphaville, permettesse a Quartièr di giocare con lo spirito e le atmosfere del brano originale per sviluppare le sue tematiche e portarle alla modernità, consentendo anche al pezzo di mantenere una certa freschezza, lo stesso non vale per la sua nuova uscita “Dai miei occhi”.
Brano rilasciato il 27 gennaio di quest’anno, “Dai miei occhi”, mantiene il proposito di mescolare il mainstream degli anni’80 con lo stile contemporaneo, esperimento che, devo dire, è diventato una costante dell’industria dell’intrattenimento. Questa volta il brano di Quartièr è più incalzante, e riprende un estetica musicale che ricorda un po’ lo stile rapcore di Blanco, Rkomi, e simili. Non mancano le drum machine che riprendono un classico ritmo rock di batteria in 4/4, il classico ritornello martellante e il cantato scatenato e straziante. Allo stesso tempo, però, è evidente anche una certa superficialità produttiva (forse voluta) che si evince da un mix quasi sbrigativo.
Analisi dell’arrangiamento
Questa volta a sostenere il brano è interamente la linea melodica “presa in prestito” dal brano Maniac di Michael Sembello (iconica colonna sono del film Flashdance), che poi ritorna anche nella dinamica del ritornello. Certo, la canzone entra in testa. Direi anche inevitabilmente, dal momento che la base del brano è uno dei motivi più celebri della musica pop. Questa volta, però, il tutto somiglia più a un opinabile esperimento nostalgia che a un tentativo di ridare vita e significato a un classico della musica.
C’è poco da dire, ci troviamo di fronte a una specie di cover. C’è veramente poco impegno nel rimaneggiare la canzone di riferimento e trasformarla in qualcosa di nuovo. Certo, è possibile che il brano di Sembello sia già di per sé in linea col gusto musicale contemporaneo, ma anche guardando a “Dai miei occhi” come una sorta di tributo, vi sono una serie di elementi che, a nostro parere, sviliscono il prodotto finale. A cominciare dall’estetica del videoclip, che sembra più strizzare l’occhio al gothic rock, stile Evanescence, che al pop degli anni ’80. Non basta qualche passo di danza a rievocare quelle atmosfere.
Il testo, così come il videoclip, ci racconta una storia di rivalsa sociale, sulla falsariga della storia di Flashdance. Due ragazzi, un uomo e una donna, si trovano a interrompere la loro relazione tossica, nel quale uno rappresenta il male per l’altra e viceversa, per poi perseguire da soli la loro strada verso il successo. Lui un cantante, lei una ballerina. Una storia sentita e risentita che non riesce neanche a vestirsi con dei colori moderni. Non si percepisce il vissuto e il contesto che un’artista che si definisce “popstar di quartiere” vorrebbe suggerire. Quantomeno non in questo brano.
Forse, un punto a favore del brano è proprio l’orecchiabilità. In qualche modo la scelta di mantenere salde le componenti melodiche di Maniac gioca a favore della viralità di un prodotto di questo genere, anche se lo penalizza in quanto a personalità.
Il risultato finale è un brano “da battaglia”, ideale da ascoltare in cuffia mentre si fa sport, o in simili situazioni adrenaliniche. Un po’ un mischione di influenze che, questa volta, Hal Quartièr non è riuscito a dosare con perizia. Penalizzato, come ho detto, da una produzione poco ispirata.
Parlando di poca ispirazione, il release del brano è stato accompagnato da una copertina abbastanza didascalica. Una lacrima che scende dall’immagine bidimensionale di un occhio blu su sfondo bianco, che a tratti ricorda un celebre album dei Baustelle. Gli anni ’80, ancora una volta, non pervenuti. Una copertina che dice molto del titolo, poco dell’estetica del brano.