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Ve lo dovevo dire…
Premessa necessaria: non sono un grande fan di Lucio Battisti, né della musica italiana in generale. Come avranno già notato i miei lettori, parlo prevalentemente di musica anglofona: senza cadere in tristi stereotipi, ritengo semplicemente che una discreta parte della musica italiana pecchi di provincialismo e paghi il fatto di essere lontana, non solo geograficamente ma anche mentalmente, dai grandi centri di produzione culturale dei nostri tempi (esistono comunque parecchie eccezioni notevoli).
Ovviamente ascolto talvolta musica italiana: apprezzo la scena prog degli anni ’70, o quella new wave e alternativa di inizio anni ’80 (dai Litfiba ai CCCP, passando per i Matia Bazar) e qualche cantautore qua e là. Invece apprezzo meno tutta la musica leggera eccessivamente aderente allo stile sanremese, essenzialmente la stessa forma-canzone che si ripete da 70 anni a questa parte e che non rappresenta più in alcun modo (spesso neanche nei testi) l’attualità.

Un album con un precedente
Prima di parlare di ‘Don Giovanni‘, sedicesimo album in studio di Lucio Battisti, vale la pena spendere due parole sulla carriera precedente di Battisti. Dopo aver interrotto il lungo sodalizio artistico con il paroliere Mogol nel 1980 (l’ultimo album che li vede insieme è ‘Una giornata uggiosa’), Battisti pubblica l’album ‘E già’ nel 1982: l’album, oltre ai testi scritti dalla moglie con lo pseudonimo di Velezia, si ricorda per la notevole svolta elettronica che Battisti diede alle sue sonorità.
L’omonimo singolo estratto dall’album resta in effetti un esempio notevole e piuttosto avanti, per il panorama italiano, di sonorità dance e synthpop. Dopo ‘E già‘, che ottiene un discreto successo commerciale, Battisti conosce il paroliere Pasquale Panella, con cui avvierà una collaborazione che lo accompagnerà per il resto della sua carriera, finita prematuramente con la morte del cantautore nel 1998. Con Panella, Battisti firmerà cinque album, informalmente noti come ‘album bianchi’ viste le loro copertine spesso spoglie e di tonalità chiare.

Descrizione dell’album
‘Don Giovanni’, il primo degli album bianchi, viene pubblicato nel 1986: l’album è prodotto da Greg Walsh, arrangiatore britannico che aveva già collaborato con Battisti per ‘E già’, e registrato tra Roma e Londra. Già la opener, ‘Le cose che pensano’, combina un’ariosa melodia al piano con una base di synth bass. Con la sua base ritmata, ‘Fatti un pianto’ è vicina alle sonorità del pop elettronico americano, eccezion fatta per qualche intervento di archi e fiati qua e là (anche se il sax viene usato spesso nel pop americano).
‘Madre pennuta’ sfoggia addirittura un basso fretless mentre ‘Equivoci amici’ potrebbe essere, con qualche sovra-incisione in più, un ottimo brano degli Style Council. La sinfonica titletrack fa ovviamente riferimento all’omonima opera di Mozart e qui Battisti non manca di criticare Mogol. Chiude il disco ‘Il diluvio’, un brano sempre elettronico ma dal sapore quasi ancestrale, forse complice la sezione ritmica quasi esotica: senza un chiaro ritornello, il brano si avviluppa su se stesso come un uroboro ed è un’ottima conclusione per il disco.

Un esperimento ben riuscito
Non si era senz’altro mai sentito un Battisti così insolito: gli arrangiamenti elettronici, minimali ma ben curati, e la voce di stampo cantautoriale di Battisti, appartenenti a due scuole musicali radicalmente diverse, creano una fusione senza dubbio interessante. È doveroso spendere due parole anche sui testi di Panella: criptici, infarciti di assonanze e giochi di parole, talvolta difficilmente comprensibili senza il testo scritto sottomano ma complessivamente con le loro sonorità aggiungono spessore agli arrangiamenti, come già detto volutamente minimali.
L’accostamento di siffatti testi con un genere musicale che spesso predilige testi banali e punta invece sempre sull’orecchiabilità del motivo è l’ennesimo contrasto che questo simpatico esperimento ci propone. La sperimentazione di Battisti continuerà anche nei quattro album seguenti: ‘L’apparenza’ (1988), ‘La sposa occidentale’ (1990), ‘Cosa succederà alla ragazza’ (1992) e ‘Hegel’ (1994). Chissà che non si faccia una recensione anche di questi…

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