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la peste bubbonica nel medioevo rappresentazione

Malattie nel Medioevo: tra strane cure e superstizioni

"Il sole della peste stingeva tutti i colori e fugava ogni gioia" Albert Camus

Le epidemie e le malattie nel Medioevo incombevano sulla già debole popolazione. La mortalità era molto alta, soprattutto quella infantile. I medici avevano scarsa, se non nulla, conoscenza delle malattie, delle cause e delle terapie, anzi, ignoravano proprio il funzionamento del corpo umano. Non si conoscevano i virus e i batteri, come avveniva il contagio e come si propagavano le epidemie. Si pensava che venissero provocate da miasmi e soffi pestilenziali provenienti dal centro della terra, o da località esotiche come l’Oriente, o a volte che fossero provocate da Dio per punire i peccati dell’infetto.

Le malattie nel Medioevo

In realtà le cause erano legate alla dieta malsana e alle pessime condizioni igieniche nelle quali viveva la popolazione. Ci si lavava e ci si cambiava poco, l’acqua corrente non esisteva e si utilizzava quella proveniente da una fonte o da un fiume, le fognature non erano utilizzate o erano inesistenti. Gli escrementi e le deiezioni erano generalmente gettate in acqua, la stessa che si utilizzava per bere, e in strada. I malati gravi erano rinchiusi nei lazzaretti, segregati ai margini della società.

Illustrazione del XIII secolo che mostra le vene
Illustrazione del XIII secolo che mostra le vene

Le conoscenze mediche ereditate dal paganesimo non erano viste di buon occhio, e si dava più importanza alla cura dell’anima che a quella del corpo. Inoltre, le cure mediche erano un lusso che si potevano permettere in pochi, visto l’elevato costo. Malattie come l’acne, la psoriasi e gli eczemi, erano tutti indicati con il nome di scabia e ricondotti alla presenza di vermi sottocutanei. La terapia consisteva in uno scrub a base di briciole di pane, per il cuoio capelluto si utilizzava una soluzione a base di aceto, mentre per il viso si strofinava sopra una cipolla. A volte erano rimedi efficaci visto la proprietà di alcuni prodotti.

L’esame medico consisteva nell’osservazione generale del paziente, l’esame dei suoi umori, l’esame delle feci e delle urine, che venivano annusate dai medici e volte anche assaggiate, per capire cosa ci fosse che non andava. A quei tempi non si sapeva dell’esistenza di virus e batteri, e di conseguenza, i ferri del mestiere non venivano mai sterilizzati, con conseguenze che puoi immaginare. Più che la scienza regnava la superstizione.

Strane cure e terapie medioevali

Si credeva ad esempio che una radice di piantaggine sul collo proteggesse dalla febbre e, se messa sotto al cuscino, dava strani poteri di veggenza. Trotula la prescriveva per ridurre le dimensioni della cavità vaginale per chi volesse tornare vergine. Durante le epidemie venivano utilizzati i chiodi di garofano perché si pensava che il loro profumo purificasse l’aria.

La mandragora era considerata una pianta afrodisiaca e utilizzata nelle pozioni magiche. Nel Medioevo si credeva la mandragora quando veniva estratta emettesse un urlo in grado di uccidere. Nella miniatura sotto viene illustrato il momento dell’estrazione. La radice veniva legata con una corda a un cane, che aveva il compito di tirarla fuori, mentre l’uomo si copre le orecchie per evitare di morire.

Tacuinum sanitatis in medicina, Codex Vindobonensis Series nova 2644 der Österreichischen Nationalbibliothek
Tacuinum sanitatis in medicina

A chi si sottoponeva a un intervento veniva somministrata un’anestesia. Un metodo consisteva in una mistura di lattuga, cistifellea di cinghiale castrato, brionia, oppio, giusquiamo, succo di cicuta. Col tempo l’anestesia migliorò passando all’utilizzo di una spugna, la spongia soporifera, cioè una spugna imbevuta di acqua calda e una miscela di oppio, mandragola, belladonna e giusquiamo. La spugna veniva messa sotto il naso del paziente che si addormentava dopo aver respirato i fumi. I vasi sanguigni venivano suturati con fili di seta. Il gozzo si curava applicando spugne e alghe all’iodio.

il dipinto "trionfo della morte"
Trionfo della morte

“Chi ha male ai denti, a causa del sangue putrido o dello spurgo del cervello, si procuri assenzio e verbena in ugual misura e li cuocia con un buon vino bianco in una pentola nuova. Coli, poi, quel vino cotto attraverso un panno e lo beva, aggiungendovi un poco di zucchero… Infatti, se si beve il vino combinato con le suddette erbe, si purificano le venuzze che si estendono dalla membrana del cervello sino alle gengive dei denti.”

Ildegarda di Bingen

Il giusquiamo era una pianta sedativa molto potente e potenzialmente tossica. Guglielmo da Saliceto la utilizzava nelle sue terapie:

“Il giusquiamo è utile contro il dolore dei denti: si pongono i semi sui carboni, il paziente recepisce il fumo attraverso la bocca e tiene poi la bocca sull’acqua; appaiono quindi i vermi che nuotano.”

Era diffusa l’ergotismo, un’intossicazione causata da un fungo parassita, noto come segale cornuta, presente nelle graminacee. Nausea, vomito, diarrea, difficoltà respiratorie, disturbi visivi, debolezza, convulsioni e coma, erano le conseguenze dell’intossicazione.

“A molti le carni cadevano a brani, come li bruciasse un fuco sacro che divorava loro le viscere; le membra, a poco a poco rose del male, diventavano nere come carbone. morivano rapidamente tra atroci sofferenze oppure continuavano, privi dei piedi e delle mani, un’esistenza peggiore della morte; molti si contorcevano in convulsioni”

Sigiberto di Genbloux

Il vaiolo riempiva il corpo di pustole e poteva causare cecità e deformazioni degli arti, e anche la morte. Chi sopravviveva alla malattia, né portava i segni per tutta la vita. A essere colpiti erano principalmente i bambini. Nel 30% dei casi non sopravvivevano. Probabilmente importato in Occidente dagli arabi, tra il VII e VIII secolo, fino all’epoca delle crociate era una malattia abbastanza rara. Il tifo causava febbre alta e anche esantemi, dolori, nausea, vomito. Si diffuse durante le guerre molto velocemente. Il colera era poco diffuso in Europa a quei tempi, ma comunque presente a causa delle scarse condizioni igieniche. La lebbra colpiva la pelle e i nervi di mani e piedi, le mucose nasali, gli occhi, i reni, i testicoli, e causava deformità degli arti e anche cecità.

La Franceschina, Perugia, Biblioteca Augusta
La Franceschina, Perugia, Biblioteca Augusta

I malati venivano allontanati dalle città e obbligati a portare un campanello e una veste speciale per segnalare la loro presenza. Vennero costruiti appositi edifici, i lebbrosari, dove venivano segregati tutti coloro che avevano malattie della pelle. I lebbrosi non potevano avere rapporti con i sani ed erano costretti ad abbandonare la famiglia. La malattia era considerata una punizione divina per la loro devianza, e di conseguenza erano accusati delle peggiori nefandezze.

raffigurazione del dottore della peste
Il dottore della peste

Nel 1347 la peste tornò a bussare violentemente alle porte dell’Europa. La Grande Peste Nera uccise in soli quattro anni, da un terzo a un quarto della popolazione europea, intere zone si spopolarono. Circolavano due tipologie di peste: quella polmonare e quella bubbonica, meno violenta. il virus si diffondeva attraverso le pulci dei topi o i morsi dei topi, ma anche mediante starnuti e tosse, come nel caso della peste polmonare. I medici di allora però non lo sapevano, e credevano che il contagio avvenisse per via aerea.

“Se qualcuno si ammala di lebbra e la veridicità della cosa è appurata dal giudice o dal popolo e viene espulso dalla città e dalla sua casa, in modo che abiti da solo, non abbia licenza di alienare o donare legalmente i suoi beni a nessuno. Perché dal giorno stesso in cui è stato espulso dalla sua casa è considerato come morto. Tuttavia finché vive sia mantenuto grazie a ciò che ricava dai beni che ha lasciato.”

Editto di Rotari, capitolo 176, Del lebbroso

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