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Non proprio un ritorno
A distanza di soli due anni dallo scioglimento del duo, i Daft Punk tornano a far parlare di sé riportando temporaneamente in attività i loro profili social. Malgrado i fan più accaniti sperassero in una reunion o in qualche collaborazione dei due, Bangalter e De Homem-Christo, con qualche altro artista, l’occasione serve in realtà a celebrare i dieci anni dalla pubblicazione di ‘Random Access Memories’, l’ultimo album della loro discografia.
A maggio uscirà infatti un’edizione estesa dell’album: un’occasione ghiotta per i fan più accaniti, che avranno modo di godere in aggiunta di 9 tracce demo e outtake mai pubblicati prima, per un totale di circa 35 minuti di musica in più. Sebbene il motivo ovvio della pubblicazione di questa versione anniversario sia quello di capitalizzare ancora su un album di enorme successo commerciale, più che su cosa conterrà questo disco vale la pena chiedersi cosa contenga la versione che tutti conosciamo. Ne avevo già parlato brevemente qui, ma vale forse la pena riprendere il discorso.

Un disco senz’altro insolito
Difficile dire che i Daft Punk abbiano fatto due dischi uguali tra loro: in effetti, sebbene possano piacere o meno, i loro album si soffermavano ogni volta su un sottogenere diverso della musica elettronica e i due erano soliti, soprattutto in ‘Homework’ e ‘Discovery’, mettere a nudo le loro influenze musicali, principalmente il mondo disco-soul-funky americano degli anni ’70 (ma non solo).
‘Random Access Memories’ resta il loro album meno elettronico, in cui i due si mostrano più come compositori e ‘coordinatori di musicisti’ che non come dj: qui, i nostri mettono via la loro libreria di samples e si affidano a musicisti ben noti come Pharrell Williams, Nile Rodgers, Julian Casablancas e tanti altri, per creare un prodotto difficilmente ascrivibile al mondo del deejaying.
L’intuizione è felice: il pop contemporaneo dell’epoca emula già da qualche anno i suoni della Motown, del funky e della disco music americana (ma soprattutto quella elettronica europea di Moroder) e le influenze che i nostri si portano appresso da anni sono pienamente in linea con questa tendenza.

Un vero e proprio tributo
Non è forse un caso che l’album si apra con ‘Give Life Back to Music’, una sorta di (ironico) manifesto d’intenti (musicalmente vicino allo stile disco-funk degli Chic), visto che l’album in sé è più un’operazione nostalgia, che resuscita ciò che non è più in vita, che l’invenzione di qualcosa di radicalmente nuovo. ‘Giorgio by Moroder’ è una jam elettronica di ben 9 minuti (il brano più lungo dell’album), tributo a Giorgio Moroder, che si può sentire presentarsi in un breve monologo durante il brano: la parte strumentale è una diretta emulazione da parte dei Daft Punk dei tappeti sonori che Moroder creava per Donna Summer a fine anni ’70.
‘Lose Yourself to Dance’ e ‘Get Lucky’, accompagnati dalle chitarre funky di Nile Rodgers, sono i singoli più di successo e allo stesso tempo quelli più nostalgici: l’unico aspetto che li rende distinguibili dai brani disco-funky degli anni ‘70 sono i ‘cori’ con voce robotica fatti dai Daft Punk. Decisamente più interessante ‘Touch’, una sorta di etereo lento da piano bar, che sfuma quasi nella grandeur di un pezzo per orchestra di musica leggera, con tanto di chiusura simil-teatrale.

Qualche divagazione qua e là
Più attinente al pop americano anni ‘80 ‘Fragments of Time’, sostenuta dalla voce fresca di Todd Edwards, dj che aveva già collaborato con i nostri in ‘Discovery’, precisamente nel brano ‘Face to Face’, una delle vette dell’album in termini di manipolazione dei sample. ‘Motherboard’, un bizzarro strumentale dal sapore vagamente new-age e tantrico suona quasi come alieno dal disco, malgrado la sua simpatia. ‘Doin’ It Right’ è una sorta di reggae elettronico, non pienamente convincente. Chiude il disco ‘Contact’, una cavalcata elettronica quasi in stile colonna sonora di ‘Tron: Legacy’ (curata sempre dai Daft Punk), che sfuma nel rumore bianco.

Quale prova del tempo?
In 10 anni, malgrado suonasse già (volutamente) vecchio nel 2013, ‘Random Access Memories’ non sembra essere particolarmente invecchiato: la produzione suona fresca e pulita, i brani di successo all’epoca otterrebbero oggi la stessa attenzione. Forse, più che voler per forza assegnare una ‘stagionatura’ a questo album, bisognerebbe chiedersi quanto sia avanzato il pop da classifica in questi ultimi anni, ma la risposta resterebbe probabilmente deludente: l’emulazione (non richiesta) di una stagione piena di vecchie glorie continua, tra Dua Lipa che si richiama a ‘Flashdance’ e a Olivia Newton-John e i Måneskin che attingono a repertori vecchi di 30 anni.
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