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Il cannibalismo come necessità
“Non c’era paese della cui indigenza e mancanza di pane non si sentisse parlare; gran parte del popolo morì consunto dall’inedia. Era una fame orrenda che induceva a nutrirsi non solo con le carni di animali schifosi e di rettili, ma perfino di uomini, di donne, bambini, senza riguardo neppure per i più stretti legami di sangue. Giacché la violenza della carestia giunse al punto che i figli adulti mangiavano le loro madri, e queste, dimentiche dell’amor materno, facevano lo stesso coi propri bambini.”
Rodolfo il Glabro, Cronache dal Medioevo
Rodolfo il Glabro, monaco benedettino cronista, ci racconta nel suo resoconto, le vicende legate al cannibalismo in epoca medioevale. Un tema molto delicato che viene affrontato anche dalla studiosa Angelica Montanari, nel suo libro Il fiero pasto, Antropofagie medioevali, da cui ho preso spunto per scrivere questo articolo.
Quando pensiamo al cannibalismo immaginiamo un fenomeno lontano, proprio di popoli distanti e diversi da noi. La storia però ci racconta altro. Nell’Europa Medioevale il cannibalismo non era poi così insolito. Cosa spingeva gli uomini del Medioevo a nutrirsi di altri esseri umani? La fame. Le carestie nell’Anno Mille sono state molto frequenti e devastanti, difficili da superare per la popolazione più povera. Cronache e annali ci raccontano i drammatici momenti legati alle carestie che hanno spinto le persone al cannibalismo.
La Grande carestia del 1315-1317 devastò la popolazione. Fu la prima carestia delle tante che investirono il Nord Europa e anche l’Italia settentrionale agli inizi del XIV secolo. Milioni di persone morirono d’inedia e malattie. Le attività criminali aumentarono, le malattie si abbatterono contro la popolazione già stremata dalla fame. La morte divenne la normalità. Fenomeni come l’infanticidio e il cannibalismo si diffusero velocemente.

La carestia cominciò già prima, tra il 1309 e il 1311, quando le condizioni metereologiche si fecero avverse, e violenti temporali compromisero la produzione di cereali in Italia, trasformando i campi in laghi. I cronisti narrano di persone morire di fame lungo la strada.
Il consumo di carne umana non era però lecito. Era vietato anche il consumo indiretto di carne umana, cioè il divieto di mangiare un animale che si era cibato di un altro essere umano.
Nel 1363, Giovanni II Il Buono, re di Francia, emanò un’ordinanza che vietava di mangiare animali che si fossero nutriti nelle residenze dei barbieri, dove avrebbero potuto ingerire sangue, capelli e unghie umane. La normativa si estese poi a vietare a diverse categorie professionali, come ad esempio i chirurghi, l’allevamento di animale destinati all’uso alimentare, perché potevano essersi cibati di residui umani come fluidi o carni amputate.
Episodi di cannibalismo in Europa si manifestarono molto prima dell’Anno Mille. Una delle prime cronache è quella di Idazio, vescovo di Chaves in Portogallo. La sua opera ci racconta gli eventi accaduti tra il 379 e il 468. Dopo che i vandali arrivarono nella penisola iberica, nel 409 si scatena una carestia terribile, così terribile da spingere la popolazione a cibarsi di carne umana per non morire di fame. Le madri si nutrivano del corpo dei loro infanti dopo averli uccisi e cucinati.
Il cannibalismo terapeutico
Nel Medioevo il cannibalismo, oltre ad avere una funzione nutrizionale, aveva anche funzione terapeutica. Si pensava infatti che mangiare un proprio simile permetteva di assimilare la sua forza vitale e guarire da una malattia. Spiega la Montanari:
“Plinio enumerava tra gli auxilia (veri rimedi medici) il cerume, la polvere dei denti sbriciolati, il corpo degli uomini «appartenenti a quei gruppi etnici che destano terrore nei serpenti», e si scagliava contro l’uso di bere il sangue dei gladiatori, argomento ripreso un secolo e mezzo più tardi da Tertulliano, stigmatizzando coloro che, per guarire l’epilessia, «succhiano con avidità» il sangue dei criminali sgozzati nell’arena.”

Negli erbari e nei manuali di farmacologia dell’epoca, abbondano le ricette di composti realizzati con resti umani. Sangue, ossa polverizzate, olii distillati dal fegato e dal cranio, il midollo, il latte materno, lo sperma, la saliva e il cerume, erano utilizzati come ingredienti. Tra i più noti medicinali prodotti da parti del corpo umano c’era il vinage, ottenuto filtrando i resti dei santi con vino, acqua o olio, e la mumia, un liquamento d’huomini che si è trasformata, verso il tramonto del Medioevo, in carne umana essiccata.
“Paradossalmente, il cristianesimo non porterà all’abbandono, bensì alla diffusione, dell’impiego delle salme in campo medico, spianato da alcune pratiche connesse al culto delle reliquie…le implicazioni di tale sentita venerazione non si limitavano alla naturalezza con la quale i cadaveri venivano aperti, bolliti, resecati, smembrati e manipolati…Sebbene i teologici avessero stabilito con chiarezza che né la reliquia né il santo erano diretti artefici di guarigioni e prodigi, dovuti invece all’intervento della divinità per intercessione del corpo benedetto, lo scarto tra la dottrina e la sua ricezione attraverso il filtro di pratiche culturali e terapeutiche contribuì senza dubbio alla diffusione dell’idea che i resti umani avessero doti curative.”
Il cannibalismo è una pratica per noi raccapricciante che fa parte della storia dell’umanità, e che ancora oggi viene praticata, sia per scopi nutrizionali che rituali, in Asia e Africa.
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