Una breve intro
Vale la pena provare a tirar fuori dal cilindro 5 canzoni degli anni ’80 per tentare di riassumere al meglio possibile le tendenze artistiche e commerciali di una decade in buona parte comunque sopravvalutata e che sarebbe anche l’ora di archiviare come ‘antichità’.
‘Blue Monday’ – New Order (1983)
Forse il brano da nightclub per eccellenza, ‘Blue Monday’ è una perfetta summa di tutto ciò che era stato composto precedentemente gli anni ’80 in tema di musica elettronica da discoteca, dall’euro-disco di Moroder alla post-disco di Klein & MBO (di cui abbiamo già parlato qui). Dalla famosa intro di drum machine, ai cori campionati presi dai Kraftwerk, passando per il basso quasi morriconiano di Hook, tutto richiama il modo di vivere la scena notturna nei primi nightclub.
Inizialmente composto come pattern elettronico da utilizzare a fine concerto, il brano venne poi ampliato nella versione che conosciamo oggi. Vale la pena anche citare l’antenato illustre di ‘Blue Monday’, ovvero ‘Video 5 8 6’ (anche noto come ‘Prime 5 8 6’), una sequenza di pattern elettronici dal sapore quasi techno della durata complessiva di 22 minuti, usata come tappeto sonoro per la serata di inaugurazione dell’Haçienda il 21 maggio 1982.

‘Smooth Operator’ – Sade (1984)
Vero e proprio pezzo manifesto di tutto il sophisti-pop inglese, ‘Smooth Operator’ combina insieme una struttura pop orecchiabile, il sassofono morbido di Stuart Matthewman, la voce suadente di Sade Adu e un testo piuttosto brillante che ridicolizza gli adulatori. Il pezzo resta tra i più celebri della discografia dei Sade e ha contribuito a rendere famoso nel mondo il sophisti-pop, importato anche oltreoceano grazie a Terence Trent D’Arby e al suo album d’esordio.

‘Close to Me’ – The Cure (1985)
Tra I pezzi più noti della loro discografia, ‘Close to Me’ è un up-beat minimale, oscillante tra il nichilismo gotico-claustrofobico di Robert Smith e la spensieratezza pop rigorosamente anni ’80, metaforicamente rappresentata dalle trombette ricorrenti nel brano. Emblematico di questa contrapposizione è, ancora una volta, il videoclip di notevole successo.
Tutti i membri della band si trovano rinchiusi in un armadio sul fondo del mare: nella versione originale, affogano tutti lentamente a mano a mano che l’acqua entra mentre nell’altra versione (pubblicata nel 1990), l’armadio si apre su un fondale psichedelico animato da animali antropomorfi che cantano e suonano con la band.

‘Master of Puppets’ – Metallica (1986)
Non si può non citare almeno un brano metal esemplificativo dell’evoluzione che ha avuto il genere negli anni ’80, soprattutto grazie al mare magnum del thrash metal americano, arricchito da band come Megadeth, Anthrax, Slayer e Testament. Il brano non necessita certo di introduzioni, vista la sua recente riscoperta (e banalizzazione) grazie all’ultima stagione di Stranger Things. Nel periodo d’oro dei Metallica, questo brano resta incastonato nel loro album (forse) migliore, un vero capolavoro del genere per esecuzione tecnica, produzione e tematiche affrontate.

‘Fight the Power’ – Public Enemy (1989)
Non si può non includere in una lista del genere uno dei pezzi più importanti della nascente cultura hip-hop americana. Composto per il film ‘Do the Right Thing’ di Spike Lee, ‘Fight the Power’ è un vero e proprio inno politico contro il ‘potere’, razzista e opprimente ma anche contro la doppia morale borghese che opportunisticamente predica uguaglianza appoggiando allo stesso tempo un sistema disegnato per generare disuguaglianze di ogni tipo.
A coronamento del tutto, troviamo una base ricca di samples e manipolazioni, con un assolo di Branford Marsalis (il sassofonista di Sting all’inizio della sua carriera solista). Il videoclip, diretto da Spike Lee, mostra una manifestazione con relativo ‘comizio’ politico che sembra quasi evolvere in rivolta generalizzata. La superficialità e il voler apparire degli anni ’80 sono definitivamente archiviati.
