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Paolo Orosio, storico di origini romane, ci racconta la storia del Toro di Falaride, un antico e creativo strumento di tortura usato nell’Antica Grecia.
”Un orafo volendo conquistare la benevolenza di Falaride pensò di donargli uno strumento di grandissima crudeltà. E costruì un toro di rame, facendogli una porta su un fianco per inserirci dentro i condannati, i quali, rinchiusi al suo interno, venivano scaldati con il fuoco. E la concavità della figura accresceva meravigliosamente la voce dei condannati, che non sembrava più un lamento umano, bensì il crudele muggito di un toro, terribile da udire.”
Paolo Orosio
La leggenda del Toro di Falaride
Perillo di Atene era un fonditore di ottone che voleva far colpo su Falaride, tiranno crudele di Akragas, l’attuale Agrigento. Sotto la tirannide di Falaride le esecuzioni erano all’ordine del giorno. Perillo decise così di creare uno strumento per giustiziare i criminali condannati a morte. Nessuno si sorprese per il fatto che il marchingegno venne approvato da Falaride.

“Un mio connazionale, un Perilaus, artista ammirevole ma di indole malvagia, aveva pensato di ottenere i miei favori con l’invenzione di una nuova forma di tortura. Pensava che le torture fossero la mia vera passione. Aprì la parte posteriore dell’animale e descrisse: “Quando hai intenzione di punire qualcuno lo chiudi dentro, applichi questi tubi alle narici del toro e ordini che vi sia acceso un fuoco sotto. L’occupante urlerà e la sua agonia sarà trasformata dai tubi nel più patetico e melodioso dei muggiti. La vostra vittima sarà punita e voi vi godrete la musica.”
Luciano di Samosata – Falaride I
L’invenzione consisteva in una fedele riproduzione di un toro in bronzo. La struttura era cava al suo interno in modo da poterci far entrare un essere umano dallo sportello situato sul dorso, per poi accendere un fuoco sotto il ventre del toro.
Nel giro di poco tempo l’animale metallico diventava rovente e provocava la lenta morte del condannato all’interno, che veniva praticamente arrostito. Un complesso sistema di tubi situato in corrispondenza della bocca trasformava i lamenti del malcapitato in versi simili a quelli di un toro infuriato.
[…] Come ‘l bue cicilian che mugghiò prima
col pianto di colui, e ciò fu dritto,
che l’avea temperato con sua lima,
mugghiava con la voce de l’afflitto,
sì che, con tutto che fosse di rame,
pur el pareva dal dolor trafitto […]
Dante Alighieri, Inferno, canto XXVII, vv. 7-12
All’interno del toro venivano inserite degli aromi e degli incensi, così che quando la carne umana bruciava l’odore veniva coperto dal loro profumo, per evitare di disgustare le persone che assistevano all’esecuzione.
La leggenda narra che Falaride, dopo aver lodato l’invenzione, ordinò a Perillo di provarla perché voleva sentire i suoni uscire dalla bocca del toro. Una volta entrato, Perillo venne chiuso dentro e il fuoco accesso, così che il tiranno potesse sentire le urla delle sue grida. Prima che morisse, Falaride lo fece tirare fuori per farlo gettare da una rupe. Anche Falaride venne poi ucciso con lo stesso metodo, quando il tiranno Telemaco di Agrigento lo spodestò.

Altra versione narra che Falaride, sconcertato per la brutalità del metodo di esecuzione, decise di punire Perillo, uccidendolo con la sua stessa invenzione. Dopo essere stato ucciso, il toro venne gettato in mare a pochi kilometri di distanza dalla costa di Agrigento.
Le cronache cristiane raccontano che i Romani hanno usato il toro come strumento di tortura, per uccidere alcuni martiri cristiani. Il Toro di Falaride è una macchina della morte, sospesa sul confine tra realtà e leggenda, la cui esistenza è ancora tutta da verificare.
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