Tra boy e adult band
I The 1975, band indie-pop di Manchester, sono tornati con un nuovo album, ‘Being Funny in a Foreign Language’, pubblicato lo scorso 14 ottobre. Ovviamente l’album era già nell’aria da diversi mesi, grazie al rilascio di alcuni singoli promozionali a partire da inizio estate e diverse mosse sui social come l’oscuramento dei profili ufficiali del gruppo sui vari social il 14 febbraio scorso.
Avevo brevemente parlato in un post su Instagram qualche anno fa di quello che all’epoca reputavo il loro miglior album, ovvero ‘A Brief Inquiry into Online Relationships’ (2018), che aveva la pretesa (ma anche la simpatia) di essere un aggiornamento di ‘OK Computer’ (1997) dei Radiohead: dall’alienazione dei Radiohead di fronte a un mondo che sta per fare il salto nell’era del personal computer e di Internet in ogni casa si passa all’osservazione del fatto compiuto, dove la vita e le relazioni sociali sembrano più vere nel mondo virtuale che nella realtà fisica e tutto risulta amalgamato e indistinguibile. Davanti a tutto questo, resta solo una sensazione di forte torpore, come di un ‘Impero alla fine della decadenza’, citando Verlaine.
Un precedente non troppo convenzionale
Nel mentre, i The 1975 hanno pubblicato la loro quarta fatica, ‘Notes on a Conditional Form’ (2020), un album con diversi problemi: lunghezza eccessiva (circa 80 minuti) a fronte di idee non entusiasmanti e un eclettismo forse eccessivo fatto di voli pindarici tra generi distanti tra loro, dal pop rock lustrato anni ’80 all’indietronica, passando per accenni hip hop e trap.
Il tentativo di affrancarsi da un indie-pop giudicato troppo infantile, forse quasi da boy band, è riuscito solo in parte ma l’album suona comunque molto più originale di qualunque assemblaggio di una manciata di singoli di successo con una dozzina di filler, com’era invece l’esordio del gruppo. In conclusione, vale la pena citare i beat di ‘Yeah I Know’, l’hip-hop da aperitivo di ‘Shiny Collarbone’, la strumentale ‘Having No Head’ e il loro classico tributo al pop rock anni ’80 ‘If You Are Too Shy (Let Me Know)’.

Anatomia del disco
‘Being Funny in a Foreign Language’ resta l’album meno elettronico e con meno tastiere di tutta la discografia dei The 1975, qui riconvertitisi a un suono tendente all’acustico (quasi totalmente nella seconda parte del disco). L’indie-folk di ‘Part of the Band’, forse la vera novità del disco, lo dimostra con tanto di coda di violini e un discorso simile vale per ‘Human Too’, quasi un pezzo R&B. Allo stesso tempo, i The 1975 restano comunque fedeli alla loro storia: ‘Looking for Somebody (To Love)’ è un pezzo che sarebbe stato bene in ogni loro album precedente, mentre ‘Happiness’ è l’ennesimo tributo (ancora più di lusso questa volta) al pop rock anni ’80 da cocktail party. Non mancano poi il sing-along leggero, quasi da spiaggia, di ‘I’m In Love With You’ e l’allegra ‘Wintering’.

Un album fuori dalla Storia?
Da un lato, questa combinazione di musica pop tendente alla dance e di pop sofisticato da camera cozza un po’ con i nostri tempi perché ne sembra fondamentalmente separata. E in tempi particolari come questi, forse un album non dovrebbe esserne così tanto distaccato: tutti sogniamo il rifugio dagli accidenti della Storia ma questo suona più come un timido palliativo, come la goccia di miele data per addolcire la medicina amara, citando Lucrezio.
Forse non è più tempo per la musica di essere abbellimento della realtà e sua fuga, anche perché forse non c’è più niente da abbellire o da cui si può fuggire. Pur con tutti i suoi difetti, ‘Notes on a Conditional Form’ cercava di catturare alcuni elementi della contemporaneità, basti pensare all’eclettismo (sebbene esagerato) dei generi, alla opener che consisteva in diversi estratti di un discorso di Greta Thunberg o alle tematiche di ‘Jesus Christ 2005 God Bless America’. Qui, a parte qualche veloce immagine tratteggiata nei testi, lo stile suona difficilmente come contemporaneo.

Alla fine, ascoltatelo!
In conclusione, ‘Being Funny in a Foreign Language’ resta un album meritevole di ascolto, soprattutto se si è interessati a conoscere l’evoluzione stilistica di questa band, ma resta qualcosa di irrisolto, forse un compromesso tra il salto che ‘Notes On a Conditional Form’ avrebbe voluto rappresentare e un trincerarsi sui propri punti forti, cercando di dare un’immagine di sé il più matura possibile.
