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Tu chiamale, se vuoi, emozioni
In uno dei ricordi della mia gioventù mi rivedo su un motorino con i capelli al vento abbracciata al ragazzo che forse mi piaceva mentre andavamo al mare. Insieme a noi, altri motorini, altri ragazzi della nostra età e, in sottofondo, che chissà da dove arrivava, ‘Il mio canto libero‘ di Lucio Battisti che scandiva quei caldi pomeriggi estivi tra spiaggia e serate con la chitarra seduti attorno al fuoco. Sono passati trent’anni ma non più tardi di una settimana fa girando per il mercato ho sentito delle ragazze giovanissime che intonavano ‘La canzone del sole‘ che ha il triplo dei loro anni.

Questo perché le canzoni di Lucio Battisti non hanno età, esattamente come non hanno età i sogni e le emozioni. È questo che Battisti racconta cantando: emozioni collettive, sogni universali, sogni di gruppo che fanno parte del mondo e che ne faranno parte per sempre. Ognuno le assorbe come vuole, vanno bene per viaggiare e per l’amore, per il dolore e l’amicizia, per conoscersi e per raccontarsi. Nei suoi testi non ci sono analisi politiche, né paroloni o proclami, ci sono emozioni.
Battisti e Mogol hanno messo in musica tutti i possibili sentimenti di amore passati, presenti e futuri. Quelli che ogni generazione incontrerà crescendo. Battisti ci ha lasciato un’enciclopedia in musica dei sentimenti umani. Un’opera inarrivabile al mondo, senza scadenza.
Lui aveva la capacità di tradurre le mie idee. Se io gli dicevo qualcosa, lui di questa cosa prendeva il nocciolo d’oro. Lui sapeva che in quello che gli dicevo c’era un nocciolo. E lo trovava. Era la sua capacità di capire. Lui era verticale, io ero trasversale.
Mogol
Tutto inizia per una lira
Niente come i dischi di Lucio Battisti hanno saputo descrivere gli italiani, nulla ha saputo ricordare loro chi non erano più o chi sognavano di essere. La sua musica ha accompagnato una fetta della storia d’Italia, dal 1966 al 1994: gli eventi si scandivano con le sue canzoni che sono diventate una sorta di coscienza collettiva. ‘Per una lira‘ è stata la prima poi un susseguirsi di testi che sono diventati iconici.
Addirittura c’è chi racconta la leggenda (ma sarà una leggenda?) che gli uomini delle Brigate rosse avessero una vera e propria passione per Battisti. Chissà se questi terroristi, questi uomini con il loro sogno delirante nascondevano nel loro covo tra le armi e i volantini, tra i documenti falsi e le parrucche, i dischi di Lucio Battisti? Chissà se a notte fonda, dopo aver pianificato un rapimento, intonavano ‘Ancora tu‘?
Nuove sensazioni
Il mio canto libero
Giovani emozioni
Si esprimono purissime in noi
La veste dei fantasmi del passato
Cadendo lascia il quadro immacolato
E s’alza un vento tiepido d’amore
Di vero amore
E riscopro te
C’è un treno che parte alle 7 e 40 da Poggio Bustone a Milano
A cinque anni Lucio serviva messa, voleva farsi prete. Poi, per uno sberlone ricevuto dal parroco (vedi che a volte servono gli schiaffi?), ha deciso di mollare con la chiesa. E dalla mania religiosa è passato all’opposto: non è più andato a messa.
Ha ricevuto l’imprinting da musicista da due fratelli, suoi vicini di casa, che strimpellavano alla chitarra Malaguena: lo stesso brano che, più o meno contemporaneamente, in Inghilterra, ha ispirato un altro ragazzino, suo coetaneo: Keith Richards.

Lucio è uno dei migliaia di ragazzi che nei primi anni ’60, erano pieni di sogni e speranze, che rifiutavano il posto già scelto in società, il futuro apparecchiato e volevano giocarsi il futuro con chitarra e batteria. Anche lui ha dovuto combattere con il padre, e ha sputato due anni sabbatici durante i quali ha avuto illusioni e delusioni.
Con il suo foulard e la testa piena riccioli si è dato da fare: ha studiato chitarra da autodidatta, talmente tanto da farla diventare un prolungamento del suo corpo. Con il tempo ha acquisito una sensibilità tale verso la vita, la gente, la strada, che raccontarla attraverso le canzoni è diventato quasi naturale. La sua voce non è il massimo, per alcuni è addirittura sgradevole, comunque improbabile. Anche alla Rai lo scartano. In molti gli consigliano di non cantare e di aspirare a essere un autore. Lui, per fortuna, non li ascolta.
Chi lo ama e chi mente
Il pubblico di Lucio Battisti è particolare, tutti, ognuno a modo nostro, siamo battistiani. Non abbiamo la stessa enfasi che possiamo avere per Vasco Rossi, ma tutti amiamo Battisti, chi non lo ammette mente. Non serve palesarlo, non serve urlarlo al mondo. È quasi scontato e naturale. Perché Lucio Battisti è lo specchio della sensibilità e del gusto collettivi.
Piace a tutti, anche a chi non lo dice. Perché fa venire voglia di essere giovani, perché in una sua canzone racchiude, imprigiona, conserva, tutta una serie di ricordi che si sbloccano al solo riascoltarla, perché racconta esattamente quello che proviamo e pensiamo. Perché fa arrivare l’emozione dritta dritta dove deve arrivare, lo fa da oltre 50 anni, lo farà ancora, finché avranno vita le emozioni lui saprà raccontarle con la sua musica.
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