Nel Medioevo il concetto di morte era molto differente da quello che abbiamo ora. Le persone avevano una maggiore familiarità con essa. Durante il periodo della peste e della grande crisi del Basso Medioevo, la morte era infatti un evento quotidiano. Martin Heidegger sosteneva che “La morte non è sinonimo della fine, ma è parte integrante del ciclo vitale.”

La morte era considerata un passaggio indispensabile dell’anima, dal mondo terreno a quello ultraterreno, la conclusione di un ciclo vitale paragonabile alle stagioni. Per questo motivo andava vissuta oltre che dalla persona morente, anche da tutti quelli che gli erano vicino. I familiari partecipavano a questo evento visto con naturalezza e vissuto con semplicità, calma e senza farsi coinvolgere troppo emotivamente. In questo periodo storico si diffuse una macabra usanza funeraria cristiana, quella degli scolatoi o Putridarium, diffusa soprattutto nel Mezzogiorno e strettamente legata al concetto di morte.
L’usanza dei Putridarium nel Medioevo
La pratica religiosa prevedeva la decomposizione e l’essicazione del cadavere all’interno dei Putridarium. Il cadavere, durante la decomposizione, cambia aspetto, si modifica, le carni lasciano spazio alle ossa, considerate a quei tempi simbolo di purezza. Questo modificarsi rappresentava i vari stadi di purificazione affrontati dall’anima del defunto nel suo viaggio verso l’eternità, accompagnata dalle preghiere dei confratelli o delle consorelle.

Il rito iniziava con la disposizione del corpo su un sedile scavato nel tufo o nella roccia, chiamato nicchia. Il sedile era composto da un accessorio, chiamato cantarelle, che consisteva in un vaso di raccolta dei liquidi che fuoriuscivano dai cadaveri. I liquidi della decomposizione venivano poi raccolti in vasi d’argilla.

Durante il processo di essicazione un professionista del settore, lo schiattamorto, aveva il compito di accelerare la decomposizione e tenere sotto controllo lo stato del corpo, schiattando il cadavere con un apposito strumento. Il cadavere veniva poi lasciato putrefare fino a ridurlo a una sorta di mummia da cui estrarne le ossa. Una volta terminato il processo di putrefazione dei corpi, le ossa venivano raccolte, lavate e trasferite nella sepoltura definitiva dell’ossario. In alcune cripte sono presenti delle mensole su cui venivano esposti i crani dei defunti.

L’usanza della scolatura era molto diffusa e apprezzata, ed era utilizzata soprattutto dai nobili e dagli ecclesiastici. In particolar modo a Napoli gli scolatoi hanno origini antiche che risalgono a una legislazione romana che consentiva ai cittadini il diritto di dare sepoltura ai defunti in zone lontane dagli abitati cittadini. Sfruttando l’omonima legge, i napoletani presero a scavare nei sottosuoli realizzando numerose catacombe sotterranee come quelle di San Gaudioso e San Gennaro o la Cripta degli Abati di Sant’Anna dei Lombardi.
A Ischia si trova il Cimitero delle Monache Clarisse nel Castello Aragonese. In questa piccola stanza buia all’interno del convento, i corpi delle monache defunte venivano adagiate nelle nicchie per farle essiccare. Ogni giorno le religiose scendevano nella cripta per pregare al cospetto dei cadaveri. La stanza del Putridarium era piena di batteri e molto spesso le monache si ammalavano e morivano, a causa delle ore trascorse in quell’ambiente insalubre.

I Putridarium si diffusero anche nel Nord Italia. A Milano sotto la Chiesa San Bernardino alle Ossa, alle spalle del Duomo, si trova la Cripta Ipogea, proprio al centro della Chiesa. Si accede mediante una botola nel pavimento. La Chiesa è famosa per la cappella con le pareti ricoperte interamente di ossa umane, disposte secondo un disegno ornamentale. Insomma un riciclo creativo di resti umani.

A Vigevano nella Chiesa di San Pietro Martire e nel Convento di Santa Maria delle Grazie, sono state scoperte due cripte a cui si accede mediante una grata posta nel pavimento. Dopo il Concilio di Trento nel 1563, le autorità cattoliche cominciarono a osteggiare questa macabra pratica religiosa, che scomparve solo all’inizio del XX secolo in seguito all’introduzione di rigorose norme igienico-sanitarie.
Un rito funebre non molto diverso dalla pratica della mummificazione, praticata dagli antichi Egizi. Anche la scolatura aveva un’importante valenza simbolica. La carne putrefatta simboleggiava la cadenza della vita carnale, e il bianco della ossa rappresentava la purezza dell’anima. Il ricordo di questa usanza sopravvive ancora oggi nell’espressione napoletana malaugurale “Puozze sculà!”, cioè “Possa tu scolare”.