“Steven Wilson, chi era costui?”
Non servono senz’altro presentazioni per Steven Wilson (nè tantomeno per i Måneskin), una delle voci più autorevoli della scena inglese del rock progressivo contemporaneo. Oggi quasi 55enne, Wilson ha alle spalle una carriera, più che trentennale, di successo e acclamata dalla critica con il suo gruppo, i Porcupine Tree, di cui fanno parte anche Richard Barbieri (ex Japan) e Gavin Harrison (attualmente anche nei King Crimson).
Di Wilson è anche apprezzata la carriera solista, dove ha avuto modo soprattutto negli ultimi lavori di lambire sonorità più accessibili e convergenti verso il pop, senza comunque divenire mai banale. Negli ultimi anni Wilson ha rimasterizzato e remixato personalmente diversi capolavori del rock progressivo inglese, da ‘In the Court of the Crimson King’ dei King Crimson a ‘Tales from Topographic Oceans’ degli Yes, un vero e proprio onore per un artista prog.

La pietra dello scandalo
In un’intervista recente per il Corriere della Sera ai fini di promuovere il nuovo album dei Porcupine Tree, ‘Closure/Continuation’, atteso da anni e già in testa in molte classifiche europee, Wilson ha dovuto rispondere a diverse domande di analisi sullo stato attuale della musica rock, alcune forse inopportune. Malgrado Wilson abbia tratteggiato una critica interessante alla musica rock degli ultimi anni, parzialmente incapace di rinnovarsi e che sembra ormai aver perso la sua spinta propulsiva a favore di altri generi come l’hip hop e il rap (che Wilson sembra apprezzare almeno nelle intenzioni), sono i suoi giudizi a dir poco caustici su Måneskin (e Greta Van Fleet) ad avere attratto maggior attenzione mediatica.
Sono terribili. Certo è fantastico per l’Italia ed è sempre positivo quando una band fa conoscere ai ragazzi chitarre e batterie, vorrei solo che fossero un po’ meglio. Per chi è cresciuto sentendo i Led Zeppelin, i Pink Floyd o i Black Sabbath, ascoltare gruppi come i Måneskin o i Greta Van Fleet e prenderli seriamente è dura perché sono una copia scadente di quel che erano gli altri.
Steven Wilson
Perché alterarsi?
Sebbene Wilson precisi come preferisca i Måneskin ai Greta Van Fleet, il suo giudizio resta senz’altro forte ma decisamente non spiazzante. Anzi, era tutto sommato prevedibile: Wilson non si può reputare né il classico criticone che spara a zero su tutti né un artista fallito e invidioso del successo altrui, come qualche inesperto ha osato affermare, ma è un artista la cui idea di musica è lontana anni luce dalle velleità pop dei Måneskin.
Sul fatto che i Måneskin siano un gruppo tremendamente derivativo, Wilson ha ragione da vendere: basta ascoltarli e avere un attimo presente cosa è successo musicalmente negli ultimi 50 anni per rendersene conto. La colpa però non è solo dei Måneskin ma di un intero sistema discografico e se vogliamo di creazione di cultura popolare, ormai incapace di andare oltre la mera auto-replica di se stesso nel tempo.

Incastrati in un eterno ritorno
Difficile dire se Wilson abbia letto Simon Reynolds, Mark Fisher o Fredric Jameson (questa sì che sarebbe stata una domanda interessante da porgli!). Questi autori, di formazione e interessi diversi, hanno descritto bene come, in un’epoca che vive nell’illusione della fine della storia e della mancanza di alternativa come dato naturale (anche a livello politico-economico), la cultura popolare può solo sopravvivere attraverso collage, revival e pastiche, mischiando sempre più in maniera arbitraria e scialba tutto ciò che riaffiora dal passato.
Una volta esteso nell’ambito della produzione culturale umana lo slogan di origine thatcheriana “Non esiste alternativa”, viene meno quel basilare principio dialettico tra reazione e rivoluzione che ha permesso balzi da gigante nella musica popolare della seconda metà del Novecento. Non è forse un caso il fatto che si viva ormai da più di 10 anni in un revival ottantiano, probabilmente la decade con la musica mainstream meno originale del secolo scorso. Il solco è già stato tracciato (male) da altri, non resta che seguirlo o perdersi nell’irrilevanza.

Nessun dorma, nessun sfugga
Va detto per completezza che neanche un grande artista come Wilson è completamente immune al suddetto meccanismo: anche lui ha i suoi miti e la sua musica, soprattutto agli esordi, era quasi hauntologica nel richiamo continuo, quasi ossessivo, delle sonorità ormai considerate classiche dei Pink Floyd di Barrett. È interessante altresì notare come Wilson presenti, seppur non usando questa espressione, il nuovo disco dei Porcupine come un disco politico: citando Trump, la Brexit e il Covid-19, Wilson sembra essere cosciente del fatto che la storia non sia finita, ma stia anzi volgendo velocemente nella direzione sbagliata…
