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Il 2 novembre 1976 un’emittente televisiva mandò in onda un documentario basato sulle interviste di venti ex dipendenti dell’Unità 731. Sulla carta l’Unità 731 era destinata alla ricerca e alla prevenzione di epidemie e al rifornimento idrico dell’armata del Kwantung, nella zona nord-orientale della Cina. In realtà però, era una fabbrica della morte, dove venivano condotti atroci esperimenti sugli esseri umani sequestrati per strada. Il numero esatto delle vittime ad oggi è ancora sconosciuto.

La Storia dell’Unità 731
L’Unità 731 era praticamente un campo di concentramento al pari di quelli nazisti, voluta da Shiro Ishii, famoso microbiologo giapponese. Nel 1936 il Giappone occupava alcune zone della Cina nord-orientale e Hardin, il capoluogo della provincia dello Heilongjiang, in Manciuria. La paura di un conflitto contro l’Unione Sovietica incombeva, e il governo di Tokyo decise di intraprendere una serie di ricerche scientifiche in ambito militare.

La nuova frontiera erano le armi biologiche e Shiro Ishii si mise al comando di un nuovo progetto di studio e sperimentazione ad Harbin. L’esercito imperiale gli diede la possibilità di utilizzare la città come un enorme laboratorio. Nasce così la segretissima Unità Tōgō, nome in codice della Divisione per la Prevenzione Epidemica dell’Armata del Kwantung.
Ishii voleva creare un arsenale e rendere il Giappone più forte delle altre nazioni dal punto di vista bellico. I progetti passavano attraverso la ricerca scientifica e la sperimentazione su cavie umane. Serviva un posto che non dava troppo nell’occhio, come i villaggi a 100 km a sud di Harbin. Nell’agosto del 1932, i soldati sfrattarono tutti gli abitanti dell’area e venne creata una struttura chiamata la Fortezza di Zhongma.

La struttura era composta da 150 edifici. Secondo lo storico Sheldon H. Harris, gli scienziati giapponesi avevano un macabro senso dell’umorismo e chiamavano le loro sfortunate vittime ceppi, cioè pezzi di legno. Le vittime venivano torturate, bruciate vive e fatte a pezzi. Se non avevano abbastanza candidati, la polizia segreta giapponese andava per le strade e prelevava le prime persone che capitavano a tiro per portarle nel campo di sterminio.
Gli esperimenti sugli esseri umani erano solo la punta dell’iceberg. Ishii voleva creare un arsenale patogeno in grado di infettare i bacini idrici, i campi e le popolazioni civili delle nazioni ostili al Giappone. Progettò inizialmente dei proiettili da 75 millimetri, con all’interno del materiale biologico. Dopo una serie di studi iniziò a pensare più in grande e progettò le Uji-50, delle bombe con involucro in ceramica, farina e pulci infette con il batterio della peste.
Le bombe venivano sganciate dagli aerei e una volta che impattavano con il suolo, la farina si disperdeva attirando i roditori, sui quali si posavano le pulci per diffondere il morbo. Le malattie venivano propagate anche attraverso la somministrazione di caramelle avvelenate ai bambini del villaggio.
I terribili esperimenti nell’Unità 731
“Mi fu ordinato da un membro di un team medico di lavare le persone con uno spazzolone prima di portarle nude nella stanza dove poi sarebbero state dissezionate. La prima volta tremavo. Un membro del team auscultava il battito cardiaco con uno stetoscopio. Un altro teneva in mano un coltello.
Nel momento stesso in cui lo stetoscopio si allontanava dall’orecchio, il coltello veniva conficcato nelle carni. Non saprei di preciso il perché, ma secondo i dottori questo tempismo doveva essere ben calcolato, altrimenti il sangue si sarebbe sparso dappertutto e noi ci saremmo infettati.”
Uno degli esperimenti effettuati dai medici all’interno dell’Unità 731, era la vivisezione su esseri umani senza l’uso di anestetici. Uomini, donne e bambini, subivano questa atrocità dopo essere stati infettati volutamente con malattie infettive. Gli organi venivano asportati quando la vittima era ancora cosciente per ritardare al massimo la decomposizione.
Poi c’erano gli esperimenti sulle cure da ferite da artiglieria. I prigionieri venivano legati a un palo vicino a una bomba che veniva posizionata di volta in volta a diverse distanze. Quando l’esplosivo detonava, i sopravvissuti subivano un intervento chirurgico. Altri venivano utilizzati come bersagli per testare nuovi armamenti come lanciafiamme o armi biologiche e chimiche. Questa categoria di armi fu ampiamente studiata e sviluppata all’interno dei campi di concentramento.

I prigionieri venivano infettati anche con i batteri della gonorrea e della sifilide, per vedere come gli agenti patogeni si propagavano all’interno del corpo. Gli esperimenti non finivano qui. Le povere vittime venivano lasciate fuori al freddo durante i rigidi inverni della Manciuria, svestite, per studiare gli effetti della cancrena e la resistenza al freddo. Studiavano i metodi per deidratarli in modo tale da capire quale fosse il più idoneo per guarire l’assideramento. Altre volte gli arti congelati venivano sbriciolati.

Le torture erano di una crudeltà inaudita. I prigionieri venivano centrifugati, avvelenati, uccisi con il gas, impiccati a testa in giù e uccisi attraverso l’iniezione di urina di cavallo nei reni.

Il numero delle vittime di questa follia è incalcolabile perché a disposizione dell’Unità 731, c’erano sempre 2.000 o 3.000 persone. Shiro Ishii muore all’età di 67 anni a causa di un cancro alla gola. Il generale statunitense Douglas MacArthur, dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, garantì un salvacondotto agli scienziati giapponesi coinvolti, per entrare in possesso delle informazioni e dei dati raccolti.


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