Luca Ammirati e l’inizio di ogni cosa
Cesare Pavese nel “Mestiere di vivere”, scriveva che l’unica gioia al mondo è cominciare. Ma quant’è difficile a volte lasciarsi il passato alle spalle e intraprendere una strada nuova? E’ il cruccio di Tommaso, protagonista del romanzo “L’inizio di ogni cosa“, di Luca Ammirati, che brancola tra fantasmi del passato e voglia di ricominciare.
E’ necessario demolire per ricostruire?
Tommaso è un professore di lettere. Durante una festa nota una sospetta confidenza tra la sua compagna Irene e un collega di lavoro, e nella sua mente iniziano a istillarsi forti dubbi sulla natura di questa relazione. Lei l’indomani partirà per un viaggio di lavoro con la persona che ha scatenato la sua gelosia, e così il protagonista inizierà un vero e proprio viaggio interiore che lo porterà a riflettere sulla sua vita. Troverà gran parte delle risposte alle sue domande a Bussana Vecchia, un borgo formato da una comunità di artisti con i quali Tommaso allaccerà rapporti di amicizia e di intensi dialoghi.
Bussana Vecchia è un esempio di resilienza; colpito infatti da un violento terremoto sul finire dell’800, verrà ripopolato da questi artisti che riporteranno la bellezza nel piccolo paese. Proprio qui Tommaso capirà l’importanza di rialzarsi e andare avanti ricostruendo sulle proprie “macerie”.
Credo che la capacità di ricominciare sia uno degli aspetti più importanti della vita, e ho voluto per questo scrivere un libro sui nuovi inizi, perché a volte seguono a fatti dolorosi, ed è necessaria una grande forza d’animo per rialzarsi.

Luca nei tuoi romanzi fotografi spesso una generazione che vive nella precarietà, ma l’incertezza che si vive nel sociale, può ripercuotersi sulla sfera individuale?
A me piace raccontare le storie di questi personaggi che non hanno molte certezze, che sono alla ricerca del proprio posto nel mondo, che è esattamente quello che vivono le generazioni dei trentenni, quarantenni di oggi e anche i più giovani. Vale sia per l’ambito lavorativo che affettivo. A queste difficoltà ci si approccia tentandole un po’ tutte, proprio come fa Samuele, protagonista di “Se i pesci guardassero le stelle” (mio romanzo d’esordio), con il coraggio dei sogni e con la capacità di non perdersi mai d’animo anche quando le cose non sembrano andare per il verso giusto.
Lui vorrebbe diventare un pubblicitario, ma i suoi progetti vengono sempre bocciati. Così fa il reporter precario di giorno e la sera sfoga il suo animo poetico lavorando come guida nell’osservatorio astronomico di Perinaldo. Proprio guardando le stelle immagina di poter realizzare i suoi sogni.
L’essere umano è portato a guardarsi sempre indietro. Tu descrivi questo processo attraverso la figura di uno dei tuoi personaggi: il caporedattore Berti.
Si, lui è un nostalgico della carta stampata, che si ritrova a fare i conti con connessioni, articoli sul web, tutte cose alle quali non è abituato.
E’ vero, noi siamo portati a pensare al passato come un’epoca nella quale stavamo meglio. Probabilmente in parte è vero, in parte ci lasciamo guidare da questo sentimento di nostalgia. Dobbiamo essere bravi noi a non fossilizzarci troppo sul passato per cercare di vivere al meglio il presente. Spesso ci dimentichiamo di fare questo, presi dalla nostalgia per i tempi andati e le speranze per il futuro. Ma la vita è adesso. Per questo mi piace raccontare personaggi che lavorano su loro stessi per cercare di diventare le persone che vorrebbero essere.
I protagonisti dei tuoi romanzi sono alla ricerca della felicità, ma la felicità è qualcosa che si può imparare?

Noi siamo sempre portati a sperare in un evento improvviso che trasformi le nostre vite in positivo, ma sicuramente dovremmo imparare ad “allenarci” alla felicità. Infondo la felicità è uno stato d’animo. Spesso siamo presi dalle brutture del mondo, e ci dimentichiamo della bellezza che lo abita. E’ un po’ l’insegnamento della frase di Stephen Hawking che ho messo nell’incipit di “Se i pesci guardassero le stelle”: Ricordatevi sempre di guardare le stelle, non i piedi. Dovremmo riuscire a coltivare la bellezza e tramite questo essere più felici. E come fa Samuele non perdere mai la speranza.
Hai mai pensato a una trasposizione cinematografica di “Se i pesci guardassero le stelle”?
Sicuramente per ogni scrittore l’altro grande sogno dopo la pubblicazione del proprio libro è quello di vederlo trasposto per il grande o piccolo schermo. Vi racconto un piccolo retroscena: in passato ci sono stati degli interessamenti, sono però delle dinamiche un po’ lente, ma per le cose belle bisogna aspettare! Speriamo di avere una bella sorpresa, e vediamo cosa ci riserveranno le stelle…
Quanto ti ritrovi nei tuoi personaggi? Ti senti più Samuele o Tommaso? Chi è davvero Luca Ammirati?
Inevitabilmente ci sono delle contaminazioni tra il proprio vissuto e quello dei personaggi. Io poi ambiento le storie nei miei luoghi, e questo favorisce il realismo del racconto. Mi vedo molto in Samuele, perché lui ha questo grande sogno di diventare un pubblicitario. Il mio era quello di diventare uno scrittore. C’è stata quindi questa sovrapposizione nella voglia di andare a credere in qualcosa di grande, e avere la determinazione di provare a realizzarlo.

Tommaso è un personaggio più maturo, in lui di me c’è la passione per l’incipit dei romanzi e il fatto di annotarli sempre su una Moleskine arancione. Ma soprattutto in lui vive la determinazione di diventare la persona che vuole essere, abbracciando i nuovi inizi per camminare verso il futuro facendo pace con il passato. La chiave di lettura che anima il romanzo è esattamente questa: da una parte la bellezza del cominciare, e dall’altra trovare il coraggio che serve per rialzarsi.
Credo che lo scrittore Luca Ammirati abbia la capacità di portare il lettore all’immaginazione. Qual è il tuo segreto?
Non so se ci sia un segreto, ma sicuramente mi avvantaggia il fatto di raccontare di luoghi che io amo molto, e questo traspare dalle mie pagine. Tant’è che molti lettori mi scrivono di voler visitare i posti di cui parlo o di esserli venuti a visitare dopo aver letto i romanzi. Spesso cerco anche di raccontarli con occhi nuovi, dopo aver visto delle cose che magari prima non avevo notato. Credo che ci siano dei luoghi che abbiano un’anima diversa dagli altri, e se tu sei in grado di coglierla e trasmetterla, questo messaggio arriva a chi legge.
Dai tuoi romanzi si evince l’amore per Sanremo, tua città natale.
Si assolutamente. Sono molto legato a Sanremo, ma cerco di raccontare la città meno conosciuta. La Sanremo di Calvino o di un’epoca fortunata dei primi anni del ‘900 frequentata dalla nobiltà europea. Per me questa città è motivo d’orgoglio, e rappresenta anche la casa dello spettacolo che da qualche anno mi coinvolge direttamente essendone il responsabile della sala stampa.
Se Luca Ammirati dovesse pensare a una canzone che faccia da colonna sonora al film di “Se i pesci guardassero le stelle”, quale sceglieresti tra quelle sanremesi?
Il protagonista Samuele si sfoga con un pesciolino rosso (Galileo), e quei monologhi rappresentano i capitoli più personali, in cui ho voluto dare spazio ad alcuni temi per me importanti. Uno di questi è quello legato alla rete, ai social network, per cui una canzone che descrive molto bene queste tematiche è Occidentali’s Karma di Francesco Gabbani. Lui racconta questo grande rumore che c’è intorno a noi, e che a volte ci confonde un po’ le idee. Ecco, in Galileo ho voluto incarnare l’importanza del silenzio.