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La classica intro
Il ritorno di Esse quando intorno non accade nulla di nuovo, durante il mio classico scroll di instagram giornaliero, ho notato queste parole in un post:
Il futuro della musica è pubblicare un singolo a settimana.
E la mia mente si è ritrovata in un turbine, davanti un orrore simile.

Non la prima volta…
Questa teoria non è stata presentata per la prima volta da una delle testate nazionali più lette del settore musicale. Oltre al citato Gary Vaynerchuk, infatti, le stesse parole erano state dette da nientemeno che il CEO del più grande distributore di musica digitale al mondo: Daniel Ek, cofondatore di Spotify.
Nell’agosto 2020 infatti, Ek consigliava in un’ intervista con Musically, ai musicisti contemporanei di ispirarsi alla musica rap, per creare una connessione con i fan più forte, in modo da aumentare il proprio “engagement”.
La musica come prodotto
Insomma, il buon Daniel esortava a un’uscita più regolare dei propri brani, così da avere un maggiore successo e più guadagni.
In parole povere, una banale strategia di marketing: fidelizzare il cliente al proprio prodotto così da aumentare il proprio profitto.
È questa comparazione che ha scatenato le reazioni degli artisti, per citarne una tra le più autorevoli basti pensare al coinciso tweet di Mike Mills dei R.E.M:
“Musica = prodotto, e dev’essere sfornato regolarmente, dice il miliardario Daniel Ek. Vai a farti f-ttere”
-Pacata reazione del cantante
Critiche su critiche
L’argomento, prima di sparire nel nulla, fu abissato da pensieri simili, che aiutarono sicuramente la sua caduta nel dimenticatoio.
A quante però, la discussione non era ancora definitivamente chiusa, e Essemagazine ripropone le parole di Ek.
Di nuovo quindi il solito pensiero: la musica è definitivamente diventata un prodotto?
Sì, ed è innegabile
La società nel modo in cui è costituita adesso rende prodotto ogni cosa che genera profitto: ossia qualsiasi oggetto/pensiero/idea/arte venga distribuito.
La musica non può essere da meno, anche volendo.
Ma questo non rende autorevoli consigli di questo tipo, creati da persone esterne che guadagnano grazie a un modello simile, come Ek.
Con questo non dico che il modello di uscite di cui sopra sia sbagliato o non funzioni, ma è una scelta troppo intima per essere messa in discussione da esterni.
Lasciate essere il cerchio un cerchio
Nessuno si sognerebbe mai di chiedere ad una Rockband di utilizzare gli stessi sistemi utilizzati da un rapper, insomma, credo nessuno andrebbe dagli Zen Circus per dirgli di comportarsi come Rondodasosa, e mi sembra ovvio.
E la soluzione è insita in questo: l’arte non è che un modo per connettere l’artista al proprio pubblico tramite l’interpretazione dell’opera.
Quindi perché dare consigli su come farlo? O su come aggirare il sistema in modo tale da rendere questa connessione fittizia, di vendita?
E il quadrato un quadrato
Ovviamente vale anche il contrario: non andrei mai da rondodasosa a imporgli di comportarsi come gli Zen.
Sarebbe inutile, uno spreco del mio fiato.
Infatti, credo sia doverosa una precisazione finale: quanto detto non era in alcun modo una critica a Rhove, portato come esempio da Esse. Non posso che dirmi contento del successo del ragazzo, ma credo anche che la sua campagna funzioni perché sia lui a farla, non il contrario.
Insomma, rendiamo gloria all’artista per il suo marketing, alla fine anche il modo di sponsorizzare e di come connettersi alla propria utenza fa parte del processo creativo, anche questo fosse prodotto da un team. Perché alla fine tutti coloro che seguono e creano un progetto artistico sono artisti, per definizione da vocabolario. Quindi già che siamo in argomento, riporto quanto discusso con Moreno: criticare chi lavora con altre persone è un’invettiva vetusta, che chiude gli occhi davanti al mondo che si è creato.
P.S.
Antonio, ma scrivi ancora tutti i giorni?

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