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Per chi si fosse sintonizzato ora…
In un vecchio articolo avevo già trattato la metamorfosi dei Joy Division in New Order a seguito della morte di Ian Curtis, il cantante del gruppo. Dopo aver assoldato Gillian Gilbert, fidanzata del batterista Stephen Morris, come tastierista, il gruppo inizia a comporre materiale proprio e in pochi anni registra lo zoccolo duro della sua discografia, ovvero l’esordio ‘Movement’ (1981), il celebrato ‘Power, Corruption & Lies’ (1983) e il maturo ‘Low-Life’ (1985). Ovviamente (e fortunatamente), la vena creativa dei New Order non si esaurisce qui!

Una continua maturazione
Nel 1987, il gruppo pubblica ‘Brotherhood’, trainato senz’altro dall’enorme successo del singolo ‘Bizarre Love Triangle’ ma che vive di vita propria vista la qualità compositiva. Se da un lato si nota un parziale recupero delle sonorità più tradizionali (Morris riprende la batteria acustica e accantona momentaneamente la drum machine in ‘Paradise’), dall’altro i New Order restano maestri indiscussi della scena alternative dance e synth-pop, anche nell’uso della strumentazione elettronica, come si nota in ‘Bizarre Love Triangle’. Non mancano sezioni davvero singolari come delle simil-ballad (‘As It Is When It Was’) e momenti sinfonici (‘All Day Long’). Tutto sommato, il gruppo si trova a proprio agio nel mischiare coscientemente pop rock, dance, elettronica e stilemi post-punk.

Una meritata vacanza…
Nel 1989 viene pubblicato ‘Technique’. Va detto, anche se l’argomento meriterebbe un articolo a parte, che l’etichetta discografica che pubblica i dischi dei nostri, la Factory Records, inizia ad accusare problemi di liquidità, anche dovuti alle perdite ingenti del club di Manchester ‘The Haçienda’, di cui i New Order sono co-proprietari. Per staccare da tutto questo, i New Order nel 1988 volano a Ibiza per registrare l’album e… si sente! L’album infatti attinge a piene mani dalla scena house dell’epoca e restituisce molta di quella pazzia, euforia e voglia di divertirsi che senz’altro si respira a Ibiza: ‘Technique’ è il loro album più discotecaro, basti sentire ‘Fine Time’, ‘Vanishing Point’ e ‘Round and Round’. Non mancano i momenti più melodici e personali, come ‘Dream Attack’ e ‘Run’: in particolare il basso di Hook, sempre più schiacciato da tracce di bassi elettronici sequenziati, emerge con note relativamente acute e in funzione puramente melodica, quasi come fosse una chitarra solista.

Arrivederci En-ger-land
Prima della pubblicazione di ‘Republic’ (1993) che chiude idealmente la fase storica dei New Order, esce il singolo ‘World in Motion…’ (1990). Scritto come inno calcistico in supporto all’Inghilterra per i mondiali di Italia ’90, è molto più divertente della corrispettiva ‘Un’estate italiana’ interpretata da Gianna Nannini e Edoardo Bennato (e co-scritta e prodotta da Giorgio Moroder…). I problemi finanziari della Factory Records continuano a tormentare il gruppo e i futuri incassi di ‘Republic’ rappresentano forse l’unico modo per poter evitarne la bancarotta.

Una tragedia annunciata
‘Republic’ venderà effettivamente bene, ma non uscirà in tempo per salvare la Factory, ormai già eccessivamente oberata di debiti. Le gocce che fecero traboccare definitivamente i bilanci della Factory furono la produzione ultra-costosa e il relativo insuccesso commerciale dell’album ‘Yes Please!’ degli Happy Mondays, band di musica rave su cui l’etichetta aveva investito molto negli ultimi anni. Pubblicato da London Records, subentrata alla Factory, ‘Republic’ è senz’altro concepito come un disco commerciale, in cui si respira un pop rock sofisticatissimo e levigato, di gran classe, così come qualche atmosfera più vicina al rave, in brani come ‘Spooky’ e ‘Young Offender’. Brani come ‘Regret’, ‘World’ e ‘Liar’ sono in sintonia con quel pop rock rassicurante, quasi dance, tipico di fine anni ’80, con tanto di coriste al seguito. Dopo un magistrale concerto al Reading Festival il 29 agosto del 1993, il gruppo decide di prendersi una pausa, terminata cinque anni dopo. Ma questa è un’altra storia…

Spettri dal passato…
Si chiude così il periodo classico della discografia dei New Order, un’araba fenice capace di portare avanti in maniera credibile l’eredità dei Joy Division cedendo sì alla moda elettronica degli anni ’80 ma mantenendo sempre il giusto stile e quella malinconia pop autentica che rende questa discografia davvero unica. Ogni pezzo, anche il più lascivo e spudoratamente orecchiabile, nasconde in realtà una sua profondità e originalità intrinseca: l’aura di Ian Curtis, del post-punk e della Manchester post-industriale continua a farsi sentire.

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