Il commento migliore a Strappare lungo i bordi me lo ha scritto un amico, appena ha finito di vedere la serie:
“ho la mandibola slogata dalle risate
e il cuore cianciacato come uno di quei foglietti
di cui parla verso la fine Zerocalcare”
Zerocalcare
Già: si ride – parecchio – e ci si commuove – molto – nel corso di tutte e sei le puntate della serie animata. Quel che è saltato fuori dalla matita del fumettista di Rebibbia è un vero e proprio piccolo capolavoro. A cui hanno contribuito tutti coloro che hanno lavorato con lui e hanno sviluppato ed arricchito la serie, primo fra tutti quel geniaccio di Giancane che ha curato la colonna sonora. Nel giro di un paio di giorni la serie è balzata in cima alla classifica dei più visti in Italia; clip e vignette sono già diventate virali sui social. Le critiche sui giornali e sui siti, specializzati e non, sono quasi unanimemente positive.

Ma, facendo finta che tra chi legge ci siano anche quei tre o quattro che ancora non l’hanno vista, partiamo dall’inizio. Senza spoiler!
Da dove arriva Strappare lungo i bordi
Annunciata già diverso tempo fa, Strappare lungo i bordi è la serie animata che nasce da un’idea di Zerocalcare, al secolo Michele Reich. C’è voluto un po’, dal primo disclaimer alla data di uscita, e lo stesso Zerocalcare ci ha qualche volta scherzato su attraverso i social. Il fumettista romano è ormai da anni tra i più apprezzati e seguiti della scena italiana e non solo. Lui è timido, si schermisce.

Ha il carattere un po’ schivo di chi ha dovuto aspettare prima che la sua passione si trasformasse in un lavoro e anche dopo i primi successi gli pareva strano che stesse succedendo davvero. Ma la crescita è stata continua e inesorabile, costruita attorno a una coerenza di linguaggio e di comportamento di cui bisogna dargli merito. Dalle strisce pubblicate sul suo blog a capolavori come Dimentica il mio nome o Kobane calling, il tratto – estetico e narrativo – di Zerocalcare si è arricchito mantenendo le sue fondamenta.
Il suo personaggio è al centro di un universo che si snoda senza soluzione di continuità tra ciò che lo circonda – gli amici di sempre, i concerti, i viaggi, le tante piccole o grandi disfunzionalità del nostro paese – e ciò che gli succede dentro – la voce della sua coscienza, che si manifesta sotto forma di armadillo un po’ saccente, innanzitutto. Un universo di significati e di rimandi, di citazioni e di substrati, che potrebbero essere analizzati con le armi della semiotica e avrebbero fatto felice Umberto Eco che fanno, soprattutto, del personaggio Zerocalcare il rappresentante di una generazione cresciuta a cavallo degli anni ’80 e ’90, da un lato, e dall’altro un ancor più universale rappresentante di quella che si potrebbe semplicemente chiamare gioventù – infanzia, adolescenza, tarda adolescenza, presa di coscienza.
Zerocalcare sei tutti noi, ma anche no
Chiariamo una cosa, però: Zerocalcare non è tutti noi. Ha dei connotati ben precisi. Idee forti, politiche e sociali, alle quali non deroga. Un carattere che è il suo e un percorso identitario che si riverberano nelle storie che racconta. Eppure in queste storie c’è spazio per tanti, ma non per tutti. Non per chi non ha mai dubbi. Non per chi sa già tutto da sempre. Non per chi se ne fotte degli altri, pure.
C’è sicuramente posto per coloro che, a prescindere dalle circostanze, hanno avuto nella vita qualche incertezza. Qualche paura di non farcela. Qualche periodo in cui avrebbero preferito tenere la testa sotto a un lenzuolo. Qualche giorno in cui non avevano semplicemente voglia di rispondere al telefono o in cui si sono incazzati con la madre che non capiva come mai non le si aprisse più la pagina iniziale del browser.
Nel corso delle puntate di Strappare lungo i bordi si ride anche di queste cose e di episodi quotidiani, di amici buffi o un po’ disadattati, di cessi pubblici sporchi, di cretinate da adolescenti. Lo si fa anche se non si hanno tutti i riferimenti del cosmo di Zerocalcare: i film che ha visto, i concerti punk degli anni ’90, le serie tv che lo hanno appassionato, le merendine che ha mangiato. In questo senso, le emozioni che trasmette trascendono i riferimenti temporali e diventano davvero universali.
Storia tua, mia, nostra
Zerocalcare è un outsider. Ci ha messo un po’ per affrancarsi dal lavoro incerto delle ripetizioni, come racconta anche nella serie. Ha vissuto gli alti e i bassi di una generazione alla quale era stato promesso un futuro e che se lo è visto sfilare da sotto al naso. Ci avevano detto non solo che avremmo avuto un lavoro, ma che sarebbe stato quello dei nostri sogni. Tutti designer o ingegneri aerospaziali saremmo dovuti diventare, cresciuti forti e robusti mangiando merendine che contenevano più chimica che nutrienti, ma nessuno lo diceva.
Dovete impegnarvi, ci dicevano, il futuro è vostro. Il progresso nelle vostre mani. Poi sono arrivati il G8 di Genova (al minuto uno della serie se ne parla, non a caso), le Torri Gemelle, le guerre per esportare la democrazia, gli attentati, la crisi economica. E quel posto da designer spariva per essere sostituito da un tirocinio non pagato, da un contratto a tempo determinato, da un lavoro interinale…

Ma non preoccupatevi, non vi aspetta un trattato sociopolitico: tutto questo nella serie c’è, ma come sottostrato di un mondo che è quello in cui quotidianamente viviamo, dove si dipana la matassa della narrazione. Ci troverete però, chiarissima, l’umanità di chi quel mondo lo ha attraversato, dai banchi delle elementari fino al rimandato, ma inevitabile affaccio sulla vita adulta. La storia che si racconta nei sei episodi è un’altra, più intima; ma non meno importante e forte, ad ogni modo.
Strappare lungo i bordi…dello Zibaldone
Non so: forse Zerocalcare non lo ha amato particolarmente e non apprezzerà il paragone. Probabilmente qualche professore griderà allo scandalo e al sacrilegio. Ma io ci trovo molto di leopardiano in questo racconto. Ci sono le illusioni – e le paure – della gioventù. Le speranze spesso infrante. Ci sono momenti da passero solitario ed altri da sabato del villaggio. C’è lo spandere profumo e colore nonostante la “ruina” circostante, come la ginestra. C’è Silvia, che “all’apparir del vero” misera cadde.
Ma ci sono la lotta, l’amore per la vita e le passioni che – a meno che non siate affezionati alla lettura leopardiana in chiave pessimistica da inizio ‘900 – non si può non ritrovare anche nei versi del poeta di Recanati. C’è la presa di coscienza – non basta strappare lungo i bordi e spesso le cose non vanno come ci si aspettava – lo scontro contro il “vero”. C’è l’accettazione che la vita, volenti o nolenti, è tutta qua e a volte perdiamo anche troppo tempo a cercare di capirla; che al centro dell’universo non ci siamo noi.
C’è il Leopardi dei Canti e quello dello Zibaldone (che ovviamente sono lo stesso, ma per certa critica no): quello che scrive “non ho mai sentito tanto di vivere quanto amando”. E che afferma che la sua scrittura serva per curarsi, anche attraverso le lacrime. Ci sono la paura e l’amicizia quella giusta, che ti prende a sberle quando serve e ti scalda quando intorno fa freddo. E infine c’è speranza, anche se lui, Zerocalcare, a volte fatica a vederla. Zero, mettici un po’ di speranza, gli dice Alice.

La serie di Zerocalcare…
La speranza è anche nelle risate. Che sono, intendiamoci, parecchie. I tempi comici sono perfetti, il ritmo è incalzante. Ogni puntata si snoda sull’asse orizzontale della trama nel tempo presente e su quella verticale, fatta di ricordi e aneddoti che si intrecciano alla perfezione, secondo un meccanismo ben oliato che Zerocalcare aveva già messo a punto nei suoi albi d’esordio.
Si ride (e si pensa) anche alla seconda o alla terza visione, quando ci si può concentrare su tutti i particolari che il fumettista si è divertito a inserire quasi in ogni scena. La scritta sul muro al capolinea del bus a Rebibbia (“è inutile che vivi fuori se muori dentro” che già dice un botto) forse la si nota subito. Poi provate, ad esempio, a mettere in pausa nella scena in cui il protagonista scorre la home di Netflix e leggete i titoli sulle locandine delle serie TV… Lo spasso sta anche in questi particolari che, giustamente, passano inosservati alla prima visione. Sono anche un sintomo della cura che Zerocalcare ha messo nel disegnare questa serie.

…e di tanti altri
Ma la serie eccelle anche dal punto di vista tecnico, segno che la produzione è stata capace sia di mettere Zerocalcare a suo agio, concedendogli tutte le libertà artistiche necessarie, sia di affiancargli collaboratori all’altezza. La regia è perfetta per la narrazione la amplifica, aggiungendo senso e sfumature, senza sovraccaricare. Zero che sale in ascensore – puntata numero 5 – con le strisce di luce che penetrano dalle porte a intermittenza e richiamano il leitmotiv visivo della linea tratteggiata (come fanno anche le strisce di mezzana delle corsie stradali) sono solo un formidabile esempio tra tanti.
Un lavoro diverso per Zerocalcare. Un lavoro di gruppo. Per uno abituato a fare fumetti, a lavorare da solo, non dev’essere stato facile adattarsi a coordinare il lavoro di duecento persone. Un lavoro diverso, ma di cui aveva bisogno, ha spiegato. Anche in questo caso Michele ha dimostrato che la sua modestia non è di facciata, ma parte del suo carattere e frutto di una vita passata a guadagnarsi le cose passo dopo passo. C’era bisogno di persone che si occupassero di cose al di fuori delle competenze lavorative di un fumettista, per quanto appassionato di cinema e poliedrico. Il risultato finale dimostra che la produzione ha trovato le persone giuste e queste persone hanno trovato il modo giusto per fare la loro parte in sintonia con Zerocalcare.
Come si suol dire: non si può piacere a tutti!
Qualcuno – volendo fare il puntiglioso – ha criticato la scelta di Mastrandrea come voce per la coscienza armadillo. Crea un effetto straniante, hanno detto, rispetto agli altri personaggi, tutti doppiati invece dallo stesso Zerocalcare. Il fumettista ha detto che per lui Armadillo ha sempre avuto quella voce e che l’attore romano assolve un poco quel ruolo anche nella vita reale per lui; quindi la scelta è stata naturale. Io trovo che sia anche cinematograficamente azzeccata. Armadillo è la voce della coscienza, sta in una dimensione diversa da quella narrata, è nella testa del protagonista ed è quindi giusto che suoni diversa e quasi slegata dal contesto. In fondo, penso sia lo stesso per tutti noi, quando discutiamo con la nostra coscienza, non vi pare?
Oh. Ci stanno anche le critiche. Qualcuno a Biella se l’è presa, perché, a dire loro, la città viene presentata come quello che non è. Posto che non ci sono mai stato – e che comunque i giovani di Biella, a quanto pare, la pensano come Zerocalcare – basta poco per capire che non è “quella” la città, ma sono le tante nostre tristi città. Qualcun altro poi se l’è presa con il romanesco. Non poteva parlare italiano? Non si capisce niente! Beh, come Gomorra, no? O come Montalbano. Insomma, al di là delle motivazioni personali di chi la serie l’ha scritta, io penso funzioni bene così. Mettete i sottotitoli, semmai, mi pare facile. D’altra parte, comunque, il successo di una serie TV si misura anche dalle critiche, più o meno pretestuose, che le vengono mosse e questa di Zerocalcare non fa eccezione.
Ma che Giancane!
La colonna sonora meriterebbe un articolo a parte, ma – per farla breve – non è da meno rispetto al resto della serie. Io credo che quel geniaccio di Giancane si sia divertito un mondo a lavorarci su. Si parte con un pezzo di musica elettronica che accompagna il ronzio di una zanzara e da lì in poi è un matrimonio perfetto – a volta armonia, altre controcanto – rispetto a quello che si vede sullo schermo. E sono tutti suoni del repertorio Giancane in purezza. La title track poi, personalmente è in loop in macchina mentre vado al lavoro da quando è uscita. D’altra parte Zerocalcare e Giancane avevano già collaborato con risultati sorprendenti: se ve lo siete persi, recuperate subito il video di Ipocondria.
I pezzi non originali inseriti nella serie a volte sorprendono – vi sareste aspettati Ron? – e a volte sono un tuffo al cuore, per chi certi concerti punk negli anni ’90 li ha vissuti. Ma stanno proprio dove dovrebbero stare. Il commento più bello tra quello che ho letto in giro l’ho trovato sotto Haute le coeurs, un pezzo del 2013 del collettivo musicale francese dei Fauve. Diceva, semplicemente: “in quel momento eravamo tutti in macchina con Zerocalcare”. Ed in effetti è proprio quello l’effetto che fa.
Ultimi, ma solo per nome, Gli ultimi – punk rock band capitolina – con cui Zerocalcare ha già collaborato in precedenza e che compaiono verso la fine della serie, con la bellissima Un battito ancora.
Così bella, che è anche bello scriverne
Insomma, ‘Strappare lungo i bordi‘ è un piccolo capolavoro, del quale è bello anche scrivere. C’era bisogno di farne un altro articolo per dire quanto è bella sta serie? Non lo so, però, insomma: quando esce una roba così che, oggettivamente in Italia non si era mai vista, è anche giusto dirlo. Ed io, da quando l’ho vista, mi sono detto che sì, li mortacci, sentivo proprio il bisogno di dire quanto m’era piaciuta. Dopodiché…mannaggia a te, Zero! Che l’ho già vista due volte e due volte ho riso e due volte mi sono commosso. E penso che stasera me la guarderò un’altra volta ancora. E ancora riderò. E ancora mi commuoverò.