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La carta canta …ma non basta!
Nonostante il covid, quest’anno si è potuto finalmente svolgere l’annuale conferenza sul clima (rimandata nel 2020), ovvero la Cop26 (Conference of the parties) tenutasi a Glasgow, nel Regno unito. Questo congresso, organizzato dall’ONU, riunisce i leader mondiali che si sono impegnati nel combattere e rallentare il cambiamento climatico.
L’appuntamento di quest’anno doveva rappresentare l’ultimo appello circa la riduzione delle emissioni e l’impiego delle fonti energetiche rinnovabili affinché il riscaldamento si mantenga a 1,5 gradi. Eppure il cambiamento del clima ha ormai causato molti danni irreversibili con forti ripercussioni sull’uomo e sull’ambiente, la cui biodiversità è essenziale.

Eppure, nonostante l’emergenza globale, molti governi sono rimasti (ancora!) alle promesse senza portare azioni concrete. Inutile dirlo, non ci siamo per niente. Questa mancanza di realismo da parte di chi ha il potere e il privilegio di cambiare le cose per il meglio sta irritando un po’ tutti (di questo ne parlo in un altro articolo che potete leggere qui).
Più che ottimisti bisogna diventare realisti. Molte ricerche scientifiche hanno infatti affermato che sarà quasi impossibile limitare l’innalzamento della temperatura a 1,5 gradi se si va avanti di questo passo: ma questo non sembra preoccupi molto i governi. Cerchiamo quindi di capire assieme cosa si è detto e deciso alla Cop26.
Conferenza sul clima: il riassunto

Fonti accreditate sostengono che la riunione tra i capi di Governo non si è del tutto conclusa. Difatti, nonostante la chiusura da calendario (12 Novembre), i grandi leader continueranno a discutere sulle problematiche ambientali ancora per un po’; fino al raggiungimento di un patto più serio e impegnativo (si spera!). Per il momento vi illustriamo i punti principali di cui si è discusso:
- Riuscire a mantenere sotto controllo la temperatura globale almeno fino al 2030 (limitandone l’aumento temuto di 1,5 gradi). In questo decennio dunque le decisioni da prendere saranno cruciali per la sopravvivenza del pianeta.
- Il raggiungimento della neutralità carbonica (NDC) da parte dell’India entro il 2070. Questa decisione è stata derisa e fortemente criticata in quanto le tempistiche per il traguardo finale sono troppo lontane. Eppure c’è un motivo per questo ritardo ed è dovuto all’economia del paese che si è sempre basata sul carbone. Per questo motivo è stato consigliato alle nazioni più forti di aiutare quelle più deboli (ancora in via di sviluppo).
- Il raggiungimento della NDC da parte della Cina entro il 2060. Anche questo paese, insieme all’India, è fra le principali nazioni (seguite dagli USA) responsabili per le emissioni di gas serra.
- Il Brasile promette di mettere fine alla deforestazione entro il 2030, ed eliminare la CO2 entro il 2050.
- Anche la Russia promette di ridurre le emissioni entro il 2050, con la successiva raggiunta delle emissioni zero entro il 2060.
Un’altro argomento a favore di una economia più sostenibile è quello dello stop alla produzione di macchine a diesel e benzina (Ford Motor e Mercedes Benz accettano il patto). Ma se la Gran Bretagna ha assicurato di passare all’utilizzo dei trasporti fossil-free, l’Italia ( insieme agli USA, Cina e Germania) ha indietreggiato rifiutando l’accordo, a causa dei rischi che questa decisione può portare al mercato.

Ciò che frena il raggiungimento di un patto coerente è l’incapacità da parte dei governi di conciliare un’economia sostenibile con le loro strategie opportunistiche (che hanno il solo fine di arricchire i singoli stati e renderli competitivi con le altre nazioni).
Nel 2050 la civiltà umana collasserà
Così le promesse fatte si schiantano contro il muro opportunistico della politica causando sconforto tra i più giovani che erediteranno il pianeta, e con esso il suo futuro (sempre meno rassicurante). La stessa Greta ha dichiarato la propria delusione, definendo con rabbia la Cop26 come l’ennesimo ‘fallimento’ dei potenti.

Sebbene molti vedono nella recente conferenza una speranza, la scienza ci ricorda che c’è poco di rassicurante nei blah blah dei politici. Sono moltissime, infatti, le ricerche scientifiche che segnalano con esattezza il 2050 come l’anno dell’apocalisse che sarà causata, soprattutto, dalla sottovalutazione della crisi climatica.

Gli scienziati da tempo ammoniscono che se entro il 2030 le nazioni non si mobilitano per portare tutte le risorse tecnologiche ed economiche verso le emissioni zero, entro il 2050 l’umanità intera avrà perso l’occasione di salvaguardarsi, soffrendo così un collasso ambientale pari ad un livello di estrema sopravvivenza (con “rischi esistenziali“). Racconto fantascientifico? No signori. Questi dati diventeranno molto presto realtà a causa del nostro menefreghismo. Ecco a voi il (possibile) futuro:
Più della metà della popolazione mondiale (e il 30% della terra) soffriranno temperature così roventi da non essere compatibili con la nostra sopravvivenza; l’acqua dimezzerà e con essa anche i raccolti causando così guerre (anche nucleari) per l’appropriazione delle ultime risorse alimentari; tutto ciò porterà a grandi migrazioni di massa (più di 1 miliardo di persone) pur di non perire la fame e la sete. (per scoprire l’intero scenario, leggete qui)

E’ ora di agire, basta rimandare!
Ogni giorno possiamo essere testimoni dei gravi danni causati dal cambiamento climatico. Questi, in ogni caso non saranno nulla a confronto di quelli che avverranno se i governi continueranno a trattare il nostro pianeta più come un’opzione che una priorità.
Eppure in molti ancora oggi dimenticano che le conseguenze le pagheremo tutti quando anche il denaro non avrà più valore. Sarà infatti la fame e l’istinto di sopravvivenza a prevalere. Si chiede perciò ai governi di agire subito. E’ vero che non dipende tutto solo dall’uomo ma siamo comunque in grado di ritardare di gran lunga quello che sembra essere la fine del mondo.
E ribadiamo tutti insieme: Non c’é un pianeta B!

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