Prodigy Keith Flint

Old but gold: 25 anni fa i Prodigy spaccavano

Nel 1996 usciva Firestarter: un brano destinato a fare epoca. Keith Flint spacca lo schermo, nel video ufficiale, con il suo look punk disturbante.

di Simone Sciutteri

La tragica notizia

Quando il 4 marzo 2019 arrivò la notizia della morte di Keith Flint, la maggior parte dei lettori di WMH immagino abbiano alzato leggermente il sopracciglio – destro o sinistro, a seconda delle abitudini – ed abbiano pensato: “Keith chi?”.
Eppure c’è stato un momento in cui questo signore è entrato nelle case e nell’immaginario di tutti i ragazzi che ascoltavano un po’ di musica in un modo così prepotente che sfuggirgli era impossibile.

Da dove saltavano fuori?

Era il 1996 e Keith Flint debuttava come cantante dei Prodigy con il singolo Firestarter. Il gruppo era già attivo da qualche anno. Era nato nell’ambito della scena rave degli anni ’90: proprio ad un rave party si erano conosciuti Liam Howell, Leeroy Tornhill e, appunto, Keith Flint. La loro idea, inizialmente, era quella di formare un gruppo di dj-musicisti-ballerini per animare le feste; da lì a poco prese corpo il primo album, Experience, che si fece conoscere nella scena hardcore inglese. Quindi, nel 1994, arrivò Music for the Jilted Generation, che univa techno e rock e iniziò a far conoscere il gruppo anche al di fuori della scena rave.

Già qui – siamo nel 1994 – il gusto per i video disturbanti lo avevano: il braccio che esce dalla valigia è un colpo di genio…

Era un altro mondo, quel 1996. Bill Clinton era presidente degli USA, mentre sul fronte orientale le redini erano rette da Boris Eltsin. Agli Oscar sbancava Braveheart di Mel Gibson. In Italia erano gli anni del primo governo tecnico, quello di Lamberto Dini, insediatosi dopo l’implosione dell’alleanza che sosteneva il Berlusconi I. Governo dimissionario e crisi istituzionale prolungata, che l’allora Presidente Scalfaro chiuderà sciogliendo le Camere. Le elezioni successive porteranno al governo il centrosinistra, guidato da Romano Prodi. Ma questa è un’altra storia.

Restiamo nel 1996. Il mondo della musica era in subbuglio, almeno quanto quello della politica italiana. I Take That avevano annunciato il loro scioglimento, per la disperazione di milioni di teenager innamorate. La prima boy-band ad avere un successo planetario chiudeva così la sua corsa (le reunion non contano!).

Prodigy Firestarter cover
La copertina di Firestarter, con quel pizzico di ironia che non guasta


Fu in quel periodo che il 18 marzo i Prodigy lanciarono il loro nuovo singolo. MTV Italia ancora non esisteva, ci si affidava ai canali locali che riprendevano le trasmissioni inglesi. Oppure a VideoMusic – agli sgoccioli della sua esistenza. O magari a qualche altro canale che trasmetteva i videoclip a richiesta, coi codici e gli SMS. Ma qualunque fosse il canale musicale con cui un* giovane sfamava la sua voglia di videoclip, era impossibile non imbattersi nella linguaccia di Keith Flint.

3, 2, 1…fire!

Dico la verità: a me un po’ disturbava. Credo che fosse uno dei suoi obiettivi, ad ogni modo. Mi stavo avvicinando al punk in quegli anni, quindi certi look non mi stupivano più di tanto. Quel tizio sullo schermo ricordava il caro vecchio Johnny Rotten. Eppure c’era qualcosa di inafferrabile in Keith Flint. Una follia. Lo sguardo. Le movenze robotiche. I piercing, i capelli colorati, il trucco nero intorno agli occhi.

Se fissavi lo schermo restavi inebetito: ti sembrava uscisse dal tubo catodico aggrappandosi alla cornice della TV per venirti a ballare in camera. E, senza rendertene conto, ti ritrovavi a muovere un arto al ritmo sincopato di Firestarter.

Chi non l’ha vissuto in diretta forse fatica a capire cosa voleva dire quel video allora. Provo a farmi capire. Te ne stavi lì, un po’ annoiato, fingendo di studiare e guardando con un occhio distratto la televisione. Il funkitarro degli Articolo 31. La solitudine di Laura Pausini. How deep is your love. Wannabe. Lemon Tree. Summer is crazy. Children di Robert Miles. Poi arriva il buio. Un suono elettronico, acido, fastidioso. E una luce che improvvisamente illumina un tunnel sotterraneo.

E lì, in quel tunnel un po’ fogne un po’ metropolitana abbandonata, invece di una tartaruga ninja arriva lui, Keith Flint. I’m the trouble starter, punkin’ istigator. Sono colui che accende i guai. E poco dopo: I’m the firestarter e You’re the firestarter. Spaccava. Si muove, si agita, un po’ nel tunnel, un po’ in una specie di ring buio e horror. I capelli sono come corna. Primissimi piani. Indossa una felpa a stelle e strisce, trascinando il simbolo del conformismo nella sua danza violenta e ribelle, in quello scenario buio e sudicio.

Ditemi voi se non spaccava…

You’re the firestarter

Spaccava lo schermo Keith Flint. Sapeva muoversi. Fino a quel momento, d’altra parte, era uno dei ballerini del gruppo. Firestarter era il suo debutto come cantante. E dava l’inizio ai tuoi guai. Sì, perché anche se non capivi l’inglese, intuivi che i Prodigy ti stavano chiamando alla rivolta. Ti entravano in casa con quei suoni a metà tra techno e punk, qualcosa che li avvicinava ai Chemical Brothers o a Fatboy Slim, ma più cattivo. Più duro. Più anticonformista. Più. You’re the firestarter. Io, ti diceva Flint, sono l’accendino. Ma lo sei anche tu. E il fuoco della ribellione adolescenziale poteva divampare.

Prodigy Keith Flint in concerto

Sì, un po’ mi disturbava. D’altra parte ero un ragazzino di paese, lontano dai rave e dai festival techno. Mi stavo facendo, un po’ alla volta, una mia cultura musicale esplorando indie, grunge, rock anni ’70, punk vecchio e nuovo. Quel volto che si contorceva e faceva le boccacce sullo schermo, quel look che sintetizzava decenni di anticonformismo e te li sparava in casa con la danza un po’ macabra di Flint, era un po’ troppo – tutto insieme – per me. Almeno al primo impatto. Ma superato lo shock iniziale, ballavi. Facevi le boccacce. Urlavi. E ti eri trasformato in un firestarter pure tu.

Tanta energia, zero etichette

Due anni prima se n’era andato Kurt Cobain e con lui era finita l’era del grunge. Flint, adesso, indicava un’altra via per uscire dal tunnel del conformismo. D’altra parte, non si trattava di etichette. Liam, che di quella musica era il padre, in un’intervista, disse che la scena rave stava stretta ai Prodigy, che si era frantumata, che quel che interessava loro era l’energia. Era il ’94, era arrivato il successo per i Prodigy, e con esso arrivavano le etichette e i paragoni.

Ma loro erano sfuggenti. Modesti, anche se può sembrare strano. Persino timidi. I premi sono cazzate, diceva Liam. Vogliamo che la gente si diverta. Ci piacciono i Bestie Boys e la scena indie. Non paragonateci ai Depeche Mode, troppo pettinati e londinesi. E Flint tornava a parlare di energia, di libertà:

La mia vita potrebbe andare a pezzi, ma quando sono sul palco non m’importa.

E quando raccontava della sua adolescenza e dei dischi che amava comprare, sembrava descrivesse quel che voleva facessero i ragazzini con i dischi dei Prodigy:

Sai quando sei giovane, vivi delle esperienze per la prima volta. Hai comprato dischi dei The Jam o Gary Numan. Ascolti Going Underground. La alzi a palla e ti viene voglia di colpire qualsiasi cosa. Il pavimento trema e il tuo vecchio ti sta chiamando. Sei in fermento. Parte una canzone e vuoi far sapere a tutti che ti piace. Vuoi coinvolgere tutti nel tuo fermento.

E infatti fu quello che mi ritrovai a fare anche io, ballando come Flint, con la musica a palla nella cameretta dei miei quattordici anni.

Che anno quel ’96!

Che anno, quel 1996. Pochi mesi dopo Firestarter, al Festival del cinema di Cannes venne presentato Trainspotting. E sulle ali di quel successo entrò in heavy rotation un altro brano destinato a segnare un’epoca…ma questa è un’altra storia ancora. Che però Firestarter avesse colpito l’immaginario collettivo lo si capisce chiaramente dal fatto che fu sdoganata persino dalla pubblicità.

Uno spot della Superga – sì, proprio quella delle scarpe di tela bistrattate negli anni ’90 e tornate di moda qualche anno fa – che unisce guerriglia urbana, ribellione giovanile, Cenerentola e una maschera che sembra anticipare Donnie Darko. Un piccolo capolavoro pubblicitario che non poteva avere una colonna sonora diversa…

Lo slogan, azzeccato, era “Si odia. O si ama”. Un po’ come i Prodigy.

Quel fuoco durò ancora: i Prodigy riempirono le arene e incisero ancora dischi di successo. Leeroy lasciò il gruppo, poi anche Flint si stacco per dissidi con Liam, salvo poi riunirsi qualche tempo dopo. Always Outnumbered, Never Outgunned, Invaders Must Die, The Day Is My Enemy confermarono la loro vena ribelle e libera, portando in giro l’elettronica in mezzo a tante contaminazioni piene di energia. Il mondo stava cambiando, l’elettronica prendeva una strada più Daft Punk, ma i Prodigy sono rimasti fedeli a sé stessi e alla loro voglia di spaccare. Fino all’ultimo No Tourist uscito nel 2017.

Una fine annunciata?

Quando il 4 marzo 2019 arrivò la notizia della morte di Keith Flint, tutti coloro che nel 1996 avevano un’età tale da guardare i videoclip alla TV, sono sicuro che abbiano ripensato a lui che ballava e cantava dentro a quel tunnel sotterraneo. In un certo senso – forse è brutto da scrivere, ma è così – qualcuno si sarà anche stupito che fosse ancora vivo nel 2019. Perché nel suo volto, mentre ti guardava fisso attraverso lo schermo, c’erano così tanta potenza e ribellione e follia, che sembrava ovvio che una persona normale non avrebbe potuto reggere a lungo con quel fuoco che gli divampava dentro.

Great Dunmow è un paesino di 7000 anime, adagiato nelle campagne dell’Essex. Un muretto di mattoni rossi circonda una grande casa di campagna dal tetto spiovente: è lì che una chiamata anonima ha fatto accorrere la polizia. Hanno trovato Flint già senza vita, stroncato da un mix – voluto o accidentale, poco importa – di alcol e droga. Gli altri membri della band si sono detti scioccati (e hanno da poco annunciato che uscirà un documentario sui Prodigy anche per onorare la memoria di Flint).

Sua moglie disse che avrebbe dovuto essere in Giappone, in quel momento. E invece no: era a casa, in quel luogo così poco techno, così poco ribelle, a salutare la vita. Me lo immagino poco prima, a guardare la televisione aspettando che dallo schermo spunti qualcuno a dirgli: “ehi, non buttarti giù, vieni con me, I’m the firestarter”. Ma stavolta Flint stava dalla parte sbagliata dello schermo e non è arrivato nessuno a dargli un cazzotto musicale in tempo.

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