Lo sfogo dentro lo sfogo
Un indimenticabile messaggio ai cittadini apre il primo capitolo della lunga serie de ‘La notte del giudizio’.
Al suono della sirena ogni crimine, incluso l’omicidio, sarà legale per le successive dodici ore. Tutti i servizi d’emergenza non saranno attivi. Il governo vi ringrazia per la vostra partecipazione
da ‘La notte del giudizio’
La saga di James DeMonaco si è sempre dimostrata uno specchio dell’attuale società americana. Ogni episodio, infatti, piuttosto che alimentarsi di concetti universali, si lascia ispirare dall’attualità, come se le sceneggiature venissero scritte guardando direttamente i titoli dei mass media. Dietro le atmosfere fusion tra il thriller e l’horror vengono nascosti vari messaggi sociopolitici e annessi punti di vista contemporanei (e filoreazionari). L’obiettivo è quello di solleticare la coscienza politica del pubblico, partendo da una situazione paradossale e mostrandone l’evoluzione nel tempo. Ovviamente, rimane sempre da capire se queste intenzioni riescano alla fine ad essere efficaci.
Un controverso esperimento di crimine legalizzato
La notte del giudizio racconta di un’America surreale, travolta dalle leggi dei Nuovi Padri Fondatori. La loro maggior conquista è stata l’ideazione e la legalizzazione della famosa ‘notte dello sfogo’: una volta all’anno, per 12 ore, viene permesso ai cittadini americani di compiere atti come l’omicidio, il furto ed altri senza che possano essere perseguiti penalmente.
Tutto ciò per dare la possibilità ad ogni partecipante di ‘purificare’ il proprio stato d’animo contaminato da rabbia, frustrazione e ogni altro sentimento negativo.
Una volta provato lo vorrai per sempre

Ad inizio luglio è uscito nelle sale l’ultimo episodio della saga: ‘La notte del giudizio per sempre’. Già il titolo vuole suggerire la via che si è voluto intraprendere, ovvero estendere quelle famose, folli e distopiche 12 ore di massacro, per un tempo indefinito.
Nel film seguiamo una coppia di immigrati messicani, interpretati da Ana de la Reguera (‘Army of the Dead’ di Zack Snyder) e Tenoch Huerta. I due si stabiliscono in Texas, e si troveranno ad affrontare un gruppo di estremisti che, finito lo sfogo annuale, decide di continuarlo ad oltranza per ripulire gli Stati Uniti da quelli che considerano non-americani.
Ancora una volta sarà presente un gruppo di persone contrarie ideologicamente alla carneficina, che attraverseranno le classiche situazioni e i pericoli ‘da sfogo’. In sottofondo, la funzionale e facile metafora da assimilare: il paradosso del chiedere asilo politico al Messico per fuggire da quel sogno americano, che ormai si è trasformato in un incubo.
L’instant-movie anacronistico
La pandemia da Coronavirus ha avuto molti effetti sull’industria cinematografica. Tra questi, anche la capacità di influenzare trame e sceneggiature, rifacendosi all’attualità per far immergere ancor più lo spettatore in situazioni e sensazioni a lui familiari.
Questi cosiddetti instant-movie si sono prestati perlopiù ad una rilettura della quotidianità in chiave coronavirus, cercando di offrire spunti e soluzioni per una situazione inaspettata e imprevedibile. Per citarne alcuni: ‘Sesso sfortunato o follie porno’, ‘Songbird’, ‘Locked Down’ e anche il nostro imbarazzante ‘Lockdown all’italiana’.
Stessa sorte non è toccata tuttavia ad altre pellicole, a causa dei numerosi rinvii che la stessa pandemia ha generato. In questo modo non si è riusciti a centrare la finestra temporale alla quale erano destinati originariamente, rendendo quell’attualità su cui puntavano e da cui traevano forza e ispirazione, vecchia e superata. Del resto, non è così facile richiamare il pubblico su qualcosa che ormai non ha più quella presa che hanno le novità, anche quando si parli di attualità.
Così è stato, purtroppo, anche per l’ultimo capitolo de ‘La notte del giudizio’. Era infatti stato prodotto e pensato per essere distribuito sotto l’amministrazione presidenziale precedente a quella di Biden/Harris, concentrandosi sul tema dell’immigrazione, un punto fondamentale per Trump e i suoi seguaci.
Chi ha intenzione di purificarsi?

Per chi ancora fosse all’oscuro di tutto e non si fosse ‘purificato’, il consiglio è quello di riprendere tutti i titoli dal primo all’ultimo, immergendosi nelle atmosfere e vicende dei vari personaggi, per poi passare alla serie tv.
La situazione di partenza è di quelle forti, immediate e semplici da comprendere: la violenza al centro, per purificare una nazione intera. La violenza una tantum, autorizzata e impunibile, per dare sfogo a tutte le proprie macabre fantasie e istinti bestiali.
Dal punto di vista sociologico riesce difficile immaginare delle persone che, sorridenti e gentili con il vicino fino ad un’ora prima, riescano con eccessiva scioltezza a trucidarlo al suono della famosa sirena. Una trasformazione disumana che non reggerebbe di fronte alla razionalità e umanità del mondo reale, che per quanto difficile da credere, sembra ancora esistere e resistere.
Eppure, la forza delle pellicole di DeMonaco sta proprio in quel dubbio con il quale qualsiasi spettatore finisce per ritrovarsi prima o poi, non senza difficoltà nella risposta: “E voi cosa fareste in quella stessa situazione?”
La natura umana non segue alcuna legge
La risposta dovrebbe essere banale, anche perché non esistono comportamenti automatici. Perché mai dovremmo avere l’irrefrenabile desiderio di fare qualcosa solo perché all’improvviso (e per poco tempo) diventa possibile farlo?
Resta poi da capire perché, qualora ci fosse la possibilità di effettuare un qualsiasi crimine o trasgressione, tutti quanti si riverserebbero nella categoria serial killer e furie omicide. Tutti pronti ad uccidere, alla ricerca della famosa purificazione. Forse si dà troppo per scontato un naturale e latente istinto assassino, pronto a venir fuori appena una legge lo permetta.
La violenza, nel film, è paragonabile a un’ideale timbratura del cartellino, orario lavorativo in cui si entra e da cui si esce. In questo modo si riesce a mostrare la parte ancor più disumana e vuota della popolazione, spinta da un impulso circadiano e innaturale.
Il genere horror è sempre stato un degno strumento metaforico. Come per gli zombie di George A. Romero, le persone comuni diventano i ‘mostri’ che attaccano i loro simili, dipingendo il ritratto di una società ossessionata, violenta, senza alcun ideale salvifico. Così, ne ‘La notte del giudizio’ le vittime diventano gli emarginati, i senzatetto, evidenziando una lotta di classe tra le fazioni sempre più distanti dei ricchi e dei poveri della società odierna.
La serie spin-off: The purge

Meno popolare e pubblicizzato rispetto ai film della saga ma altrettanto degno di nota è la serie tv dell’omonimo franchise di ‘The Purge’ (La Notte del Giudizio per il titolo italiano) disponibile su Amazon Prime Video.
La serie, scritta e prodotta sempre dal creatore della saga James DeMonaco, presenta una prima stagione di 12 episodi, in cui vengono raccontate le ore più spaventose dell’anno dal punto di vista dei diversi protagonisti che, in un modo o nell’altro, cercano di trovare salvezza. A questa ha fatto seguito una seconda stagione di 10 episodi. Inizialmente era stata preventivata anche una terza stagione, che tuttavia è stata cancellata.
Tre storie differenti, tre differenti incubi
La serie de ‘La notte del giudizio’ mette in scena tre storie principali. La sceneggiatura racconta di Miguel (Gabriel Chavarria), un marine da poco rientrato nella sua città, che cerca disperatamente la sorella apparentemente scomparsa. Abbiamo poi Jane (Amanda Warren), una manager in carriera con qualche segreto e qualche conto in sospeso. Infine una giovane coppia formata da Rick (Colin Woodell) e Jenna (Hannah Emily Anderson) che si ritrova, a causa di un importante affare da concludere, alla festa dei Nuovi Padri Fondatori.
Ognuno di loro avrà a che fare con situazioni degne dei film della saga, sperimentando fino al limite le proprie capacità di sopportazione.
Ansia e tensione davanti allo schermo
La serie è contraddistinta da due elementi principali. Prima di tutto, l’estrema tensione che si percepisce quando vengono mostrate le esigue ore precedenti alla notte dello sfogo.
Lo spettatore osserva in perenne angoscia i cittadini americani impegnati nel barricarsi in casa, chiudendo finestre e porte con protezioni extra. Ancor più ansiogeno il fatto che le persone con meno possibilità economiche dovranno accontentarsi di chiudere porte e finestre con quello che riescono a rimediare. Il divario economico diventa quindi una sottile linea di confine tra sopravvivenza e morte.
Altro elemento che riesce ad instillare paura sono le fantasiose e spesso macabre maschere che i cittadini aderenti allo sfogo sfoggiano per strada. Il loro viso coperto, animalesco, contribuisce a renderli ancor più disumani, rendendo il tutto maggiormente destabilizzante.
Un ritmo diverso rispetto alle pellicole
Nei film della serie il ritmo di narrazione era estremamente concitato. La serie televisiva, che può contare su 12 episodi, presenta una dilatazione dei tempi, che vengono sfruttati per mostrare diversi aspetti della notte dello sfogo.
Si ha per esempio la possibilità di osservare le diverse tipologie di spettacoli malati che, in tanti, organizzano per fare soldi durante la notte dello sfogo, mostrando come il popolo americano possa addirittura trarre profitto dalla notte più violenta che ci sia.
Oltre agli omicidi e alle torture, vengono inoltre approfonditi altri aspetti criminosi e irrazionali, come musei umani che fungono da intrattenimento per maniaci facoltosi. Grande importanza viene poi data ai costumi e alle maschere in generale, sempre inquietanti e messe in primo piano.
Cosa succede tra uno sfogo e l’altro?

La serie ha saputo ritagliarsi un discreto successo, tanto da guadagnarsi la seconda stagione. Questa però mette subito in chiaro che l’obiettivo diventa più grande: esplorare nuove potenziali strade per evitare di imbattersi nella ripetitività, perdendone in termini di pubblico. Si è deciso infatti di provare a raccontare gli eventi che si frappongono tra uno sfogo ed l’altro.
Un intero anno in cui ci si confronterà con le conseguenze della temuta notte, con quel che resta quando le sirene hanno suonato e con le cicatrici profonde che i cittadini portano dentro di loro.
La narrazione segue nuovamente differenti storie. Abbiamo Esme (Paola Nuñez) che lavorando per i Padri Fondatori ci permette di avere una visione dall’interno di quelle che sono le meccaniche e le regole dello sfogo. Marcus (Derek Luke) ci mostra la fragilità di una vita apparentemente perfetta, destinata ad andare in frantumi in una notte. Emblematico il personaggio di Ben (Joel Allen), studente del college che porterà con sé i segni di un cambiamento interiore da cui nascerà una persona molto differente.
Protagonista/non protagonista Ryan Grant (Max Martini) che ha pianificato per tutto l’anno una rapina epocale per sistemarsi per tutta la vita. Rapina che, ovviamente, vorrà mettere in atto proprio la notte dello sfogo.
L’albero della violenza ha radici profonde
La seconda stagione di The purge cerca di ragionare in modo più riflessivo sulla vera tematica che ha dato vita al brand: come nasce la violenza e come la si combatte?
Fin da subito viene spazzato via ogni dubbio sulla validità dello sfogo: la violenza non si batte con la violenza. Ed è una facile ed immediata interpretazione, poiché lasciar libere le persone di far fluire i propri istinti più bassi e animaleschi senza controllo, sarebbe come drogarsi senza limiti: si rischia di diventarne schiavi.
Questa tematica resta la più interessante dell’intero franchise, che si era legato un po’ troppo al fine strumentale della violenza da parte del governo, estremamente desideroso di seguire i propri fini a qualunque costo. Guardando alle radici della violenza si è data nuova linfa al marchio, puntando su quell’apertura verso nuovi orizzonti.
La risposta che viene fuori è molto chiara: ogni individuo viene messo di fronte alla scelta del bene e del male (intesi in senso stretto come pace e violenza).
In ‘The Purge’, tuttavia, la scelta è bypassata da quella bestialità innata dell’animo umano che pone la pace come scelta innaturale. Alla fine si rimane con una visione negativa dell’umanità, troppo facilmente influenzabile.
Siamo arrivati all’ultima notte?
È innegabile che ‘La notte del giudizio’ sia uno dei brand più innovativi del genere horror degli ultimi anni. Con il suo mix di splatter action condito da riflessioni sociali proiettate su uno sfondo distopico si è ritagliato un grande successo, tanto da guadagnarsi una serie televisiva, giunta alla seconda stagione.
Numerosi appassionati hanno atteso con ansia l’uscita del quinto episodio della saga, che potrebbe anche rivelarsi l’ultimo. Siamo quindi alla chiusura naturale di un cerchio o possiamo aspettarci l’inizio di una nuova era?