Notizie di un certo spessore
Il fatto è questo: mentre scorrevo le notizie musicali di giornata, mi sono imbattuto in un articolo americano che parlava di una nuova regola, introdotta dal governo della Corea del Sud, nelle palestre del Paese. Ho letto rapidamente e, incuriosito, anzi, quasi sconvolto dalla notizia, ho deciso di aprire testo per capire se fosse un titolo acchiappa click o se rispecchiasse seriamente la verità della faccenda. Ebbene sì, era tutto vero: in Corea del Sud, come misure anti-covid nelle palestre, sono state vietate le canzoni con i bpm superiori a 120 e, nei tapis-roulant delle strutture sportive, è severamente vietato superare i 6 chilometri orari.
Quando si pratica la corsa, vengono emesse più goccioline respiratorie. Ecco perché stiamo cercando di limitare gli esercizi cardio pesanti
Son Young-rae, portavoce del Ministero della Salute
Il fine è quello di evitare che gli atleti respirino troppo affannosamente, con una conseguente eccessiva sudorazione. Ora, a parte che con le cuffie ognuno si ascolta quello che vuole ma poi da quando in qua all’aumentare dei bpm di una canzone si alzano anche quelli del cuore? All’inizio ho preso la notizia con il sorriso, poi ho deciso di informarmi di più sulla situazione in Corea del Sud e ho scoperto che, in questi giorni, sia stato registrato nel Paese il numero più alto di contagi dall’inizio della pandemia (più di 1100 al giorno). E allora, ripensando all’assurdità della nuova regola dei bpm, mi sorgono alcuni dubbi legati alla natura caotica e arruffante delle misure last-minute.
Dalla Corea del Sud all’Italia è un attimo

Certo, non è una novità che in giro per il mondo, nel corso della pandemia, siano state prese decisioni poco condivisibili, ma ciò su cui mi voglio soffermare non sono le misure in sé, quanto più la natura confusionaria e arrancante alla base di queste nuove regole. Un tentativo, spesso vano, di arginare la diffusione di un virus che di certo non dipende dai bpm delle canzoni. Fidarsi dei medici e di chi sapeva cosa fosse una pandemia ben prima di noi? Figuriamoci, meglio togliersi questa mascherina che fuori ci sono 40 gradi!
Le varianti avanzano minacciose, i casi tornano a salire e, nonostante i possibili mutamenti del virus fossero sulla bocca degli esperti fin dall’inizio della pandemia, ancora una volta, forse, ci faremo trovare impreparati (circa il 20% degli Italiani non si è vaccinato e non ha intenzione di farlo). Perché? Com’è possibile che non si riesca ad evitare, o quantomeno controllare, eventi catastrofici quali temperature alle stelle, incendi che devastano foreste, guerre in giro per il mondo nel 2021 e nuove varianti di covid-19 che fanno più paura degli aerei giapponesi su Pearl Harbor nel 1941?
La risposta è sempre la stessa: la cara e diffusissima disinformazione, che comporta una continua necessità di correre ai ripari nelle situazioni che non sono state affrontate con doveroso anticipo.
Bpm in chiaroscuro

Ma prima di tutto, che concezione strana della musica ha il governo coreano? Nel senso, l’hip hop si aggira intorno ai 90 bpm eppure, per quanto mi riguarda, è uno dei generi musicali più stimolanti per l’allenamento. Tante persone si allenano con il reggaeton in cuffia e i bpm, in questo caso, stanno all’interno di un range che va dagli 80 ai 110. Ma poi, oggi, la musica è sempre più varia, i generi musicali si intrecciano fra loro e il mood di una canzone dipende da un sacco di fattori.
Questo per dire che, certo, sicuramente i bpm più alti scaldano gli animi con maggiore efficacia ma da qui a pensare che sopra ai 120 bpm si sudi di più, c’è giusto un po’ di carenza di conoscenza musicale. Forse i politici coreani, anzi, quelli di tutto il mondo, sono troppo impegnati per ascoltare la musica. Peccato, perché potrebbe aiutarli a rassettare emozioni e pensieri, non gli farebbe poi così male.
Scusa George, siamo alla frutta
In un momento di inganno, dire la verità è un atto rivoluzionario
George Orwell
Comunque, a prescindere dai bpm, quella del governo coreano sembra essere una delle tante misure last minute attuate nel disperato tentativo di arginare i contagi del virus. Si sono sentite spesso, nel corso di questo anno e mezzo, critiche arrembanti nei confronti dell’operato dei governi, o addirittura degli organi scientifici. Perché la massa ha, da sempre, questo fastidioso ruolo di critica sociale bambinesca. Nel senso che nessuno propone un’alternativa valida alle misure proposte, ci si limita a criticare, rigorosamente a posteriori.
Non appena si provi a discutere di una possibile problematica che verrà, immediatamente si grida al complotto, alla natura opprimente e galeotta delle previsioni scientifiche e alla meschina volontà dei poteri forti di controllare la massa attraverso il meccanismo della paura. Povero Orwell, romanzi come 1984 e La fattoria degli animali sono stati evidentemente letti e interpretati dalle persone sbagliate.
Disinteresse dei diretti interessati

Insomma, tutti si sbaglia, i politici pure, ma la critica è utile se costruttiva. La verità è che nessuno era pronto ad affrontare una pandemia e ancora oggi, molti, sembrano averci capito poco o nulla. E se qualcuno avesse provato a parlare di pandemia prima di quel dicembre 2019? Beh, sarebbe certamente finito sul banco degli imputati con l’accusa di manipolatore paranoico.
Così come furono bersagliati di offese i medici che cercavano di allertare la popolazione sulla seconda ondata di fine estate. In quei mesi nessuno voleva saperne nulla di covid, tutti ammassati a divertirsi, ‘alla faccia di chi voleva toglierci la libertà!’ E infatti le conseguenze furono devastanti. Ma lo stesso vale per le varianti che verranno, lo scioglimento dei ghiacciai, le foreste scomparse, l’odio che torna ad insinuarsi nelle crepe sociali come l’eroina gialla nelle strade di periferia. Forse anche Gianluca Gotto, insieme ad Orwell e tanti altri, è stato travisato: godersi il momento non significa fregarsene del futuro, bensì fare il possibile, adesso, per raggiungere un obiettivo, dopo.
Dai Gormiti alle Daw, che stile!
Sincronizziamo i cuori sullo stesso bpm
Jovanotti, Sabato

Se non altro le nuove generazioni mi danno speranza. Innanzitutto la musica, e l’arte in generale, sono sempre più accessibili. Se il governo coreano non sa cosa siano i bpm, ci sono invece emergenti di 16 anni che sfornano musica di altissima qualità, padroneggiando le Daw come se fossero i Gormiti di una volta. E poi odio, discriminazioni, problemi ambientali, fiducia nella scienza e nel progresso, sono tutte questioni sociali che sembrano essere piuttosto importanti per i ragazzi.
Intravedo uno spiraglio di luce che definirei individualismo collettivo. Forse, e finalmente, si sta iniziando ad accettare anche la natura egoista dell’essere umano, comprendendo che fare del male agli altri o fregarsene dei problemi altrui, non significa essere troppo individualisti, anzi, il contrario: la rabbia, l’odio e la violenza sono meccanismi di difesa delle persone che, per un motivo o per un altro, non hanno avuto modo di realizzarsi nel corso della propria vita.
Le avanguardie del 2000
Gli adolescenti si danno da fare sui social, su internet e addirittura nelle piazze per esprimere se stessi senza troppi filtri etici o morali. Ragazzi che cercano in tutti i modi di affermarsi, in un’ottica di scambio reciproco di felicità personale. Perché interessarsi delle urgenze sociali di Paesi distanti migliaia di chilometri dal nostro e tutelare la pace e le libertà individuali, non sono altro che trucchi, legittimi e benevoli, per affermare se stessi.
Fare del bene, cercare affetto, pace e tranquillità significa far venir fuori tutto l’amore che si ha dentro, permettendogli di avere la meglio sull’odio, la rabbia e la violenza. Se io sono felice e tranquillo, probabilmente anche tu lo sarai, e viceversa. Questo, insieme all’evoluzione scientifica, è uno dei motori più potenti del progresso umano.