Il tramonto della trap
Ormai il periodo top della trap sta lentamente arrivando alla fine. Fra chi già parla di post-trap e chi di Grime/Drill, il periodo del 2016 sembra lontano decadi. Un anno, quello, fondamentale per la nascita del genere come lo conosciamo ora nel nostro Belpaese: una partenza difficile, segnata da critiche aspre della maggior parte del pubblico, le più gettonate sulla mancanza di contenuti nei testi.
Giudizio che non vuole invecchiare e rimane tra i preferiti dei detrattori del genere? “Riescono solo a parlare di soldi, donne e droghe“.
Chi negli ultimi 5 anni non ha sentito una frase del genere rivolta a Sfera, la Dark e ‘derivati’?
Ma è esattamente così. Questo assunto è fondamentalmente corretto. Chiunque ascolti il genere (sia nostrano che d’oltreoceano) deve fare il callo a non sentire un cambiamento radicale da un testo all’altro, che, salvo rarissimi casi, tratta del solito trittico.

Soldi, Donne e Droghe
Perché ascoltare un genere così vuoto e superficiale? Perché perdere tempo con una cultura che non arricchisce se stessi?
Perché è il frutto più sincero dell’ambiente di cui facciamo parte. In una società in cui il successo economico condiziona il proprio status agl’occhi degli altri, a quale scopo farsi problemi sulla fonte della propria ricchezza?
Basti solo pensare all’origine del nome: deriva da ‘trap House‘ (la trappola), che è come si definisce una casa dove all’interno viene cucinata la cocaina per ottenerne il crack. Una droga dei poveri per poveri, simbolo di comunità lasciate ai margini, disperate e in cerca di salvezza tramite qualsiasi mezzo.
Ma tutti gli occhi sui gioielli
L’ostentazione diventa quindi perfettamente sensata, l’essere fuggiti da una situazione di disagio diventa un merito e un simbolo per chiunque venga dagli stessi ambienti. Una filosofia individualista che sembra completamente dimenticarsi di come sia impossibile come, tutte le persone di un certo luogo, riescano a ottenere una vita agiata, continuando ad alimentare in modo indiretto la stessa povertà dell’ambiente, giustificandosi con una sorta di darwinismo sociale.
I (t)rapper dunque si identificano in animali, predatori le cui zanne non sono altro che le catene che portano al collo, e che devono dimostrare di avere più grandi di tutti.
Parlano di me sul telegiornale
Sfera Ebbasta, ’20 Collane’
Guarda come brillo, sembro un’astronave
Una necessità di brillare, di essere il primo, di colpire per primo l’occhio delle persone (soprattutto grazie al loro vestiario): gli artisti della trap devono puntare alla superficialità, e poco importante cosa si erga dietro a questa immagine, se l’immaginazione o fatti reali.
Una guerra inutile…
Un motivo di continua faida tra gli stessi rapper è infatti sull’effettiva appartenenza a organizzazioni criminali o sul provenire o meno da certe zone/quartieri più malfamati.
Ma questo perde completamente di significato quando si torna alla musica, che non premia chi ha alle spalle un vissuto o uno spessore culturale, ma la semplice e più immediata appariscenza.
Ritornando al paragone del regno animale, è come se il re della giungla fosse deciso non tramite la forza bruta, ma a chi ha il più curato mantello, come se dei pavoni si contendessero il regno animale con la grandezza della loro ruota.
…poiché senza vincitori
Una completa contraddizione, dunque, la trap nasce e cresce come rivalsa di chi nulla si può permettere, che viene completamente messa da parte quando una persona esterna si avvicina al genere. Il vittorioso non dovrà confrontarsi con nessuna cultura, perché è insito nel genere che questa non esista, se non basata unicamente sui soldi.
Dunque il successo giustifica qualsiasi mezzo portato ad averlo, persino lo sfruttamento di qualcosa che non appartiene a chi l’ha ottenuto.
E ciò che ci rimane è questo genere, figlio dei suoi tempi di cui è perfetto rappresentante, anche grazie a tutte le sue contraddizioni. Una continua ostentazione, che rimane sogno di molti e la cui esagerazione porta quasi alla risata, ma la cui natura dovrebbe far riflettere.