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C’era una volta, ora non più
Se pensate che il mondo dei film d’animazione sia un posto idilliaco, dove lunghi abiti e animali fantastici facciano da sfondo ad avventure educative e moralistiche, vi sbagliate di grosso.
In realtà è un mondo oscuro, razzista e maschilista, dove più che l’amore per il principe di turno, a trionfare è l’inevitabile matrimonio tra bellezza e ingenuità di principesse sole, in costante pericolo, che vagano alla ricerca di quella metà che possa finalmente valorizzarle e dar loro un’identità.
Per fortuna, in loro soccorso, arriva galoppando su uno splendido cavallo bianco il politically correct, pronto con la sua spada a sferrare fendenti su qualsiasi disuguaglianza e discriminazione. Tutti d’accordo? Non proprio.
La nuova inquisizione: al rogo, al rogo!

Il politically correct in realtà assume sempre più le sembianze del nuovo villain da affrontare. Tutto deve passare sotto il vigile occhio dell’uguaglianza, della parità e del polite, altrimenti si arriva inevitabilmente allo scontro.
Il problema, poi, è che spesso la tendenza all’esasperazione sconfina inevitabilmente nel ridicolo. Basti pensare agli innumerevoli meme nati in seguito alla critica del famoso bacio rubato e non consenziente di Biancaneve.
Nel segno dei rapporti egualitari, della parità di genere, questa amplificata caccia alle streghe porta il più delle volte ad evitare qualsiasi situazione, che possa fungere da miccia per innescare critiche e fomentare accese discussioni.
Ma davvero determinate scene dovrebbero generare scalpore? Siamo troppo convinti del prevaricante potere educativo dei cartoni animati, in grado di condizionare automaticamente e inevitabilmente le menti dei bambini, imponendo loro cosa sia giusto e sbagliato.
La cancel culture come una fata madrina?

Se scrivi cartoni animati, subito pensi al mondo Disney. Una comunità, potremmo definirla, in primo piano da sempre con storie avvincenti e personaggi carismatici, affascinanti. La stessa Disney, però, è stata spesso sotto i riflettori per scelte definite sbagliate, forzate, accusate di non essere al passo con i tempi.
Un esempio? I corvi razzisti di ‘Dumbo‘, l’irrispettoso appellativo pellerossa in ‘Peter Pan’ o i gatti siamesi dagli occhi a mandorla negli ‘Aristogatti’.
Il politicamente corretto, imbracciando la cancel culture come una scopa, cerca di spazzare sotto il tappeto tutto quanto possa essere considerato controverso ed offensivo, lasciando in bella mostra solo la parte bella, magica, accettabile e priva di spigolature. Un po’ come la famosa Cenerentola, che si presenta al gran ballo nella sua veste migliore.
Ma, così come è inevitabile l’arrivo della mezzanotte e il ritorno alla realtà, tutto prima o poi riemerge, con annessi effetti collaterali: cancellare non è mai la soluzione giusta. Quale alternativa dunque?
Una Disney versione Adults only

Disney ha imparato dai propri errori, ma anche dalle proprie storie. Così, invece di tagliare e nascondere, ha preferito un altro tipo di approccio.
Alcuni lungometraggi (come quelli precedentemente citati) sono rimasti visibili al solo pubblico adulto, poiché “includono rappresentazioni negative e/o denigrano popolazioni e culture“. Come dichiarato dalla casa di produzione “piuttosto che rimuovere questi contenuti, vogliamo riconoscerne l’impatto dannoso, imparare da esso e stimolare il dibattito per creare insieme un futuro più inclusivo“.
La morale c’è, come in qualsiasi storia che si rispetti: teniamo bene a mente il passato, senza nasconderlo, senza censure. Da questo cerchiamo di ripartire, in modo da educare e sensibilizzare il pubblico. In fondo, nel perseguire un intento educativo, bisognerebbe sempre mostrare la doppia faccia della medaglia, così da stimolare il pensiero critico attraverso diverse prospettive.
Insolite ‘sveglie’ mattutine
In alcuni casi, ovviamente, c’è stata una vera e propria rielaborazione di alcune scene, per renderle effettivamente commestibili anche per un pubblico in tenera età. Basti pensare alla Bella (e inconsapevole) addormentata. Esistono diverse versioni di questa storia: il punto in comune è il sonno in cui cade la principessa. Diverso, invece, è il modo in cui essa viene svegliata. Non tutti, infatti, sanno che il principe era addirittura uno stupratore. Nella versione del 1340, piuttosto che svegliare la principessa Zellandine con un bacio, la mette incinta nel sonno.
In quella del 1634, dopo un vano tentativo di destare dal sonno la bella Talia, figlia di un gran signore, il principe, conquistato dalla bellezza della fanciulla, la prende mentre dorme, per cogliere il frutto del suo amore (se tale si può definire).
si accese per la sua bellezza, la prese fra le braccia e la portò su un letto dove colse il frutto del suo amore
da ‘La bella addormentata’ del 1634
Solo a partire dal 1697 verrà eliminato ogni elemento disturbante, e farà la sua comparsa il famoso risveglio con il bacio.
Tra moglie e marito… il tempo è finito
I mutamenti sociali e la parità di genere si sono progressivamente materializzati anche nel cinema d’animazione: maggiore attenzione all’individualismo, all’emancipazione della figura femminile, capace finalmente di autodeterminarsi senza bisogno del cliché del principe azzurro come parte complementare, indispensabile per una realizzazione personale.
Così, non c’è un uomo accanto ad Elsa, poiché la sua ricerca è più intima, rivolta interamente alla sua condizione esistenziale e all’accettazione dei suoi poteri magici.
Mulan impara a combattere, come un uomo e forse anche meglio, andando oltre qualsiasi limite o aspettativa.
Merida vuol cambiare il suo destino da principessa e stravolgere i ruoli preimpostati, un inno alla libertà e all’indipendenza.
Vaiana vuole esplorare il mondo al di là della barriera corallina, dimostrandosi audace e coraggiosa.
Anche nel nuovo ‘Raya e l’ultimo drago’ la protagonista sembra essersi completamente sganciata dal ruolo di principessa, abbracciando quello della guerriera solitaria.
Tutti questi casi dimostrano un’evoluzione moralistica in queste storie senza alcun bisogno di inseguire scelte politically correct, ma solo le esigenze di una società mutevole. La strada imboccata sembra essere quella giusta.
Tuttavia si sa, i panni sporchi si lavano in famiglia, e anche quando sembrano pulitissimi, se cerchi una macchiolina prima o poi la trovi. La famiglia, in questo caso, è quella dei Looney Tunes.
Sessualizzazione e fine dell’era delle conigliette

Ricordiamo la polemica divampata di post in post, stavolta nel mondo della Warner: stiamo parlando del restyling della coniglietta Lola Bunny, una dei protagonisti del film Space Jam 2, in uscita il prossimo mese. Il regista Malcolm D. Lee aveva rilasciato dichiarazioni inerenti la volontà di non sessualizzare il personaggio.
Risultato: addio a top e shorts, riduzione delle curve ‘scandalose’ e niente ombretto e mascara. Al loro posto, un viso più pulito, completo da basket unisex con tanto di scaldamuscoli a fornire un’ulteriore copertura per le gambe.
Andando oltre il semplice fatto che stiamo parlando pur sempre di un coniglio, tutto ciò porta ad una conclusione: una professionista, per esser presa sul serio, deve rinunciare alla propria femminilità, adattandosi e accettando la mascolinizzazione delle proprie forme per sfuggire alle critiche e all’attribuzione di una valenza esclusivamente sessuale, senza possibilità che bellezza e talento possano giocare nella stessa squadra.
Eppure, anche senza Il politically correct a proteggerla, nel primo episodio la coniglietta se l’era cavata splendidamente, difendendosi dallo screditante appellativo di ‘bambola’ da parte del compagno di squadra: un paio di girate, finta e canestro finale, seguito dalla famosa frase che ha fatto sognare il pubblico femminile.
La coniglietta non è stata l’unica ad esser posta sotto osservazione: nello stesso film d’animazione, altrettante polemiche sono nate per un altro iconico personaggio. Stavolta sullo sfondo ci sono le molestie sessuali.
L’amore ai tempi delle puzzole

Sfido chiunque a riportare alla mente le prime volte che, vista la famosa puzzola Pepé alle prese con il gattino di cui si era innamorato, abbia associato a quelle immagini dei pensieri inneggianti la molestia sessuale.
Eppure, secondo l’editorialista del New York Times Charles M. Blow, è proprio questo il messaggio: un inno allo stupro, fatto di gesti di sopraffazione mediante forza bruta e violazione di qualsiasi spazio intimo. In quelle scene tutto ciò che forse abbiamo visto da bambini, è un gioco, senza alcuna allusione sessuale o prevaricazione di genere.
Non si sa se le due cose siano collegate, ma di fatto la Warner Bros ha deciso di eliminare Pepé Le Pew dal cast animato del film e di tagliare le scene già previste con il personaggio.
Tutto è bene quel che finisce… corretto
Forse le chiavi di lettura di un bambino sono semplicemente più superficiali, senza quella ricerca del lato oscuro e controverso. Senza riuscire ad andare oltre.
O forse la verità è che ci sono due modi di andare oltre: quello dei bambini, che caricano di colori vivaci ed emozioni sgargianti quelle semplici immagini; e quello degli adulti, una scala di grigi che mette in risalto preoccupazioni e ansie moralistiche. Queste scene, così discriminate e messe alla gogna, contengono tanta malizia quanto quella degli occhi che le guardano.
Forse è vero che in certi casi bisognerebbe tornare bambini, per mantenere quel velo che ci protegge dalle mele avvelenate della contemporaneità. In fondo, è proprio in questo che avviene la magia. Oggi sembra non esserci più tempo per le favole, per quella stessa magia, per il lieto fine. L’importante è che sia un corretto fine.
Specchio servo delle mie brame, chi è la più tosta del reame?

Il dubbio, tuttavia, come sempre è lecito, e potrebbe sembrare in controtendenza con quanto detto finora. Le principesse classiche subivano abusi solo perché non erano abbastanza forti? Biancaneve ha il diritto di essere insicura, debole e ingenua?
O pensiamo debba essere forte, audace, impavida, per evitare di esser vittima? Lo specchio magico stavolta non cerca la più bella del reame, ma la più tosta e battagliera. Nuove critiche già son pronte ad avanzare, quasi a chiudere un cerchio, un eterno ritorno. L’eterno rimbalzare, tra il desiderio di ciò che si dovrebbe essere e ancora non si è, e l’accettazione e affermazione di ciò che si è, senza bisogno di dover essere altro.
Ancora una volta si finisce per suggerire modelli da adottare per uniformarsi alla macchina della società, che spinge per promuovere i requisiti necessari alla sopravvivenza. E ancora una volta, se ci si sforza a cercare la mela marcia (o avvelenata) prima o poi la si trova.
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