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Achille Lauro 1920

Immergersi nel 1920 di Achille Lauro con un diploma in Jazz

L'ardito tentativo del performer in un album di quel genere musicale

Un progetto ambizioso

In un panorama mainstream italiano dove sembra difficile trovare musica originale, interessante e scritta con una visione artistica d’insieme, Achille Lauro nel 2020 si è imbarcato in un’impresa sicuramente singolare. Ha rilasciato infatti una trilogia di album in cui si è proposto come obiettivo un viaggio nel passato, appropriandosi per ogni disco degli stilemi di epoche ed immaginari diversi. Nascono così ‘1990’, ‘1969’ e ‘1920’, tre album che abbracciano suggestioni rispettivamente house/dance, rock/punk, e jazz.

Achille Lauro 1920
Achille Lauro in ‘1920’

Ho seguito la trilogia con grande interesse e nonostante i risultati siano a tratti oscillanti, è lodevole la volontà di Achille di incorporare nella sua musica influenze così variegate e, diciamocelo pure, decisamente fuori moda. Ed è notevole la sua capacità performativa di essere perfettamente a proprio agio e credibile sulle strumentali più variegate, in uno sfoggio di camaleontismo e carisma che ha pochi eguali nella musica italiana recente.

“La mia musica non è etichettabile in un genere e basta. È musica di Achille Lauro. Punto”

Achille Lauro

Achille Lauro in versione Jazz

Dei tre, quello per cui avevo più curiosità era sicuramente ‘1920′: vengo da un percorso di conservatorio Jazz, e ho grande rispetto per questa tradizione che viene spesso bistrattata e travisata nella cultura pop (grazie Chazelle). Onestamente non sapevo come sentirmi quando l’album è stato annunciato, avrebbe potuto essere estremamente interessante o un totale disastro; sensazione accentuata dal fatto che il primo brano della Tracklist è l’impegnativo ‘My Funny Valentine’, un brano che fa parte di quel repertorio di standard provenienti dalla canzone americana e reinterpretati centinaia di volte da jazzisti di ogni calibro, da giganti storici come Frank Sinatra e Chet Baker fino alla jam session nel locale sotto casa.

Mi approccio all’ascolto speranzoso ma cauto. Nella sua interpretazione di questo classico così riverito, Achille Lauro è estremamente rispettoso e di buon gusto, decide di non misurarsi nell’interpretazione canora con i giganti e si limita a recitare una traduzione italiana del testo, mentre a una ricca orchestra jazz è affidata l’esposizione della melodia.

Occhio alla tradizione, sguardo sul futuro

Rimango subito piacevolmente colpito da quanto non edulcorata, fedele e filologica sia la parte strumentale, e mentre l’aggettivo jazz viene usato spesso a sproposito, in questo caso non c’è nessun dubbio: le scelte di strumentazione, arrangiamento, armonizzazione sono assolutamente qualcosa che potresti trovare in un disco jazz degli anni ’50 o ’60. Sì, perché in effetti nel 1920 il jazz sì e no esisteva, ma lasciamo stare, non siamo qui a fare i ‘grammar nazi‘ della storia della musica, non è quello il punto.

Achille Lauro 1920
La copertina di ‘1920’

Proseguendo nell’ascolto dell’album, gli aggettivi ‘rispettoso’ e ‘di buon gusto’ continuano a rimanere costanti. Anche nei pezzi più upbeat e dove fanno capolino tracce di produzione più pop e più moderna, non mancano mai elementi jazz sfacciatamente e dichiaratamente privi di compromessi. Anche la parte testuale è interessante e degna di nota. Sembra prendere luogo in un immaginario ibrido tra hip-hop e New York dei gangster degli anni ’20, dove Achille Lauro gioca molto intelligentemente sui temi comuni di lusso, amori e criminalità, senza avere paura di attingere pesantemente a citazioni Pop Culture.

Il pezzo più riuscito

La traccia migliore, che merita una speciale menzione, è sicuramente ‘Bvlgari Black Swing’; Il trascinante groove è una via di mezzo tra ‘Sing Sing Sing’ di Benny Goodman e un brano electro swing con la cassa in quattro. Poi entra un coro che alterna il grido di “Tutti quanti voglion fare Jazz” citando gli Aristogatti (senza autotune) a “Tutti quanto voglion fare Rap” (con l’autotune); Poi il brano si svuota e una parte molto sensuale di pianoforte e sax funge da beat per una strofa di Gemitaiz, dove troviamo anche un’autocitazione alla hit ‘Thoiry.

Infine, dopo un altro ritornello, parte una sezione di improvvisazione di fiati che potrebbe essere uscita da un disco di Charles Mingus; Tutto questo succede in meno di quattro minuti e mezzo, e se non ci vedete del genio mi dispiace per voi.

Continua ricerca anche dopo il successo

1920′ è un disco interessantissimo e uno dei miei preferiti dell’anno passato, notevole perché dimostra come da una posizione di visibilità alla cima dell’industria discografica italiana come quella di Achille Lauro, si possa sperimentare e compiere scelte ardite con risultati artistici ottimi.

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